La figura retorica dell'adynaton, per esprimere la certezza che una cosa non avvenga, attraverso la correlazione a condizioni impossibili a verificarsi. Di Alberto Bordi

Martedì 30 Aprile 2019 13:16
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Due case romane, una in via Silvio Pellico ed una in via S. Maria dell'anima, riportano due originali epigrafi che giocano sul paradosso per formulare l'augurio che quegli edifici non cadranno mai in rovina.

 

 

L'adynaton, spesso italianizzato in adìnato, è una figura retorica che consiste nel richiamare una condizione irrealizzabile per ipotizzare un evento impossibile. L'innamorato convinto che non dimenticherà mai la propria amata è pronto ad affermare che "nera sarà la neve bianchi saranno i corvi prima che io ti scordi...". Il cambio di colore di neve e corvi, ovviamente irrealizzabile, dà  piena forza alla convinzione, irrealizzabile secondo l'uomo che ama, che mai scorderà quella donna.

Il termine deriva dal greco ἀδύνατον, da α- + δύναμαι, alfa privativo + verbo che indica "potere", quindi  "cosa impossibile". E' un metalogismo che gioca con il paradosso ed è frequente nella poesia classica; basta ricordare Virgilio: "Pasceranno prima gli agili cervi nell'etere …che dal mio petto il volto di lui si cancelli". Il sonetto più famoso di Cecco Angiolieri "S'i' fosse foco, arderei 'l mondo" è annoverabile come adynaton.

Francesco Petrarca, collega l’impossibilità di trovare  finalmente pace dai tormenti amorosi (quando avrò queto il core, asciutti gli occhi) al verificarsi di eventualità assolutamente impossibili  (che il fuoco ghiacci e che la neve si infiammi).

I versi di Pietro Bembo legano la fine del ricordo del primo incontro con l’amata alla condizione, chiaramente irrealizzabile, che "l’acqua diventi dura e la pietra diventi soffice". Per Torquato Tasso il gelo estinguerà il suo amore solo quando un fiume si seccherà in inverno, ossia mai.

Anche nelle sacre scritture l'adynaton trova spazio, quando si afferma che "è più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli".

A Roma la parte alta della palazzina di via Silvio Pellico 10 è effigiata con una scritta originale e divertente: MANEAT DOMUS DONEC FORMICA AEQUOR BIBAT ET LENTA TESTUDO TOTUM PERAMBULET ORBEM, in altri termini “si conservi questa casa fino a quando la formica non abbia prosciugato il mare e la lenta tartaruga non abbia fatto il giro del mondo”. In questa  sintetica digressione, utilizzata sovente nelle case di mezza Europa  a partire dal XII secolo, incluso il castello di Fenis in Valle d’Aosta, viene applicata la figura retorica dell’adunato che contiene il rimando o l’avverarsi di una condizione impossibile realizzarsi.

In Via di Santa Maria dell'Anima 65, nella parte della strada che ricade nel Rione Ponte, dietro a piazza Navona, si trova l' originale casa Sander, costruita nel 1508 per volontà del tedesco Giovanni Sander (1455-1544), un membro del Tribunale della Sacra Rota proveniente dalla città di Nordhausen. L'edificio è stato realizzato di fianco alla Chiesa di Santa Maria dell'Anima, Chiesa dei Tedeschi di Roma, proprio con l'obiettivo di ospitare i pellegrini tedeschi in visita alla Città Eterna. Nella facciata appaiono due scritte latine, la più alta riporta sull'architrave il nome del proprietario e la sua città di origine "JO(HANNES) SANDER NORTHUSANUS ROTAE NOTARIUS FEC(IT); la seconda  augura vita eterna alla casa attraverso alcune ipotesi irrealizzabili: HEC DOMUS EXPECTET LUNAS SOLESQ. GEMELLOS PHOENICAS NATOS CORVAT ANTE DUOS, ossia "Possa questa casa vedere due soli e due lune e vada in rovina quando saranno nati due gemelli dell' Araba Fenice". Anche qui trova sapiente applicazione la figura retorica dell'adynaton.