OLTRE...LA FANTASIA-. Di Stefania Iannò

Giovedì 30 Ottobre 2014 16:54
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Se il buongiorno si vede dal mattino, il mio oggi non promette nulla di buono: il cucciolo di labrador si è divorato due nespole intere e per tutta la notte l’ho coccolato, l’inquilina del piano di sopra ha pensato bene di togliersi le scarpe

con i tacchi dopo aver camminato per  tutto il corridoio della casa, pure la sveglia si è addormentata e per finire ho fatto la doccia con l’acqua fredda perché la caldaia è da revisionare!  Finalmente, riesco a lasciarmi alle spalle la mattinata appena iniziata.

 

Sono su un autobus di linea dove, a fatica, mi conquisto un minuscolo spazio davanti ad un finestrino chiuso ermeticamente, ma sul cui vetro è attaccato un adesivo trasparente che recita la famosa frase “Uscita di emergenza: in caso di necessità rompere il vetro”. Intorno a me, invece, tutto è sbiadito, freddo, senza nessuna forma. Dentro di me, un arido deserto.

Cercavo di incontrare lo sguardo di qualche passeggero desideroso di alleggerirmi il viaggio  ma nessuno sembrava annoiarsi: molti leggevano, altri inviavano sms in maniera compulsiva e c’era chi si era lasciato andare ad un piccolo riposino. Ma poi perché degli sconosciuti dovevano donarmi un po’ del loro tempo? Un lamento composto il mio, direi soffocato, anzi paralizzato come tutte le mie emozioni. Sfiduciata da questo scenario, mi sono incollata al sedile appena liberato e con la testa reclinata all’indietro ho chiuso gli occhi, stanchi di così tanto grigiore. Dovevo ridipingere la mia vita rimasta orfana di un amore mai decollato.

Ed allora ho immaginato di camminare sopra l’arcobaleno a piedi nudi e con un cappellino sbiadito in testa, ricordo di un’infanzia altrimenti dimenticata. Senza paura, ho iniziato ad attraversare quel grande arco che rapidamente si spingeva verso l’estremità opposta e non ho esitato ad immergermi in quell’immenso prato di colori per poter dar voce al dolore della mia anima. “Non sono più sicuro che sia tu la donna della mia vita”. L’eco di queste parole rimbomba ancora nella mia mente e nel mio cuore. Lui si è voltato e se n’è andato, nessun ripensamento, nessun segno di confusione. In questo “fermo immagine” è racchiusa tutta la mia afflizione, per un amore che credevo essere di sconfinata bellezza, per un amore la cui pienezza era per me stupore. Nel silenzio, ripercorro tutta la mia esistenza condensata in diapositive. Anche se il veloce dipanarsi delle immagini è cronologicamente disordinato, mi accorgo che alcune di esse sono in bianco e nero: con la passione del rosso ne cancello l’opacità e con la gioia del rosa ne coloro l’indifferenza. Non ancora soddisfatta aggiungo un po’ di giallo per scaldare il mio cuore e con il verde ricalco i confini della mia dignità e spero… che un timido “Signora, signora”, mi riporti alla reale quotidianità. Ci sono voluti alcuni secondi prima di riconoscere, in quell’uomo che mi sta scrutando, l’autista dell’autobus. “Mi scusi, non mi sono accorta di essere arrivata”. Non sembra infastidito anzi nei suoi occhi intravedo un certo interessamento. Infatti, aspetta un po’ prima di rispondermi e così io ho il tempo di osservare che la sua figura è gradevole.

“Per dirgliela tutta, cara signora, questa è la seconda volta che lei fa da capolinea a capolinea. Purtroppo, il  mio servizio finisce qui ed anche le sue corse”. Ironico, il mio autista di viaggio. In fretta, recupero il soprabito e mi avvio verso l’unica porta scorrevole aperta che, per mia fortuna, coincide con il posto di guida. E’ vero che non bisogna disturbare, ma il mezzo è fermo e quindi gli dico “Grazie per non aver riso della situazione e le auguro una buona giornata”. Il suo sguardo così profondo mi imbarazza, arrossisco dei miei umani pensieri, fortunatamente non visibili, ma che mi distraggono tanto da non sentire la sua risposta. “E se le chiedessi il biglietto?”.  Sembra una scusa per trattenermi ancora e non me ne dispiace.

“Vuole multarmi per averle fatto compagnia durante il suo lavoro?“. Sorride, sorride proprio a me: e forse sarà per sempre!