GLI UOMINI: L'ABISSO DI UN MISTERO - l'ultimo romanzo di Ester Eroli (edizione digitale)

Giovedì 17 Dicembre 2020 10:57
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Dopo l'opera "Gli occhi di una madre", che è valsa alla scrittrice e poetessa di Orte il premio Wilde per l'anno 2017/2018, ecco un nuovo lavoro, pubblicato direttamente dall'autrice tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint. Il romanzo, scaricabile da internet al costo di euro 2,99, affronta il tema del rapporto uomo-donna con una descrizione dettagliata del carattere di alcuni uomini costruita sull'esempio di molteplici esperienze di donne diverse, condensate in una unica storia di una donna comune.

 

 

 

Ester Eroli è nata a Orte, provincia di Viterbo, da padre  sabino e madre abruzzese. Vive a Roma e lavora  nell’ufficio stampa della fondazione dell’ANCI, IFEL, nella piazza di San Lorenzo in Lucina nel cuore di Roma. Ama l’arte, la pittura, la musica, i viaggi, le mostre, i musei, colleziona cartoline illustrate e bambole di porcellana. Dopo aver  realizzato alcuni romanzi andati perduti, ha scritto romanzi, racconti, raccolte di poesie, novelle, articoli. Ha ottenuto numerosi premi  e riconoscimenti letterari, tra cui il premio Wilde. Ha scritto in molte  riviste letterarie e opuscoli. Scrive su internet in numerosi siti.

 

 

 

 

CAPITOLO PRIMO: L’INGENUITA’

Il cordone ombelicale era stato reciso ma c’era qualcosa che ancora mi univa a mia madre. Era una sensazione strana, ma sapevo, intuivo che lei era parte di me, era con me, era dalla mia parte. Con lei ci sarebbe stata complicità, condivisione. Con lei c’erano delle affinità, dei punti di contatto. Ero convinta che con lei avrei stabilito un rapporto duraturo. Sentivo nell’aria un sentore di mistero. La maternità era un mistero ed io piccola nella culla di tulle sperimentavo gli aspetti salienti di quel mistero. Ignoravo i sacrifici, le rinunce, le lotte che c’erano dietro quel fenomeno. Ero nata e mi bastavano le attenzioni dei nonni, degli zii. Subito dovevo comprendere che si nasce in un certa famiglia per puro caso. Non ero stata io a scegliermi il contesto familiare. Io dovevo solo prendere atto di quella nascita e accettare passiva la situazione attuale. Il cognome stesso di mio padre era un marchio indelebile, come il nome di battesimo. Mi sentivo avvolta nell’irrealtà, fluttuavo in una dimensione nuova. Mia madre era una donna femminile, incredibilmente bella, con un viso fresco, fuori dal tempo. Lo sguardo era stranamente limpido e sapiente. Lei era piena di volontà, mi trattava con ogni riguardo. Esercitava su di me un enorme fascino. In avvenire non avrei avuto paura accanto a lei. Mio padre mi era sembrato subito un uomo severo, serio quasi burbero, più grande di mia madre di età, con i capelli brizzolati e lo sguardo duro. Le sue parole erano legge, le sue risposte ferme. Ogni tanto rimproverava mia madre di comprare troppi vestitini per me e la criticava per ogni sua eccessiva manifestazione di affetto nei miei riguardi. Lui era del parere che i bambini non andavano presi in braccio quando piangevano per non viziarli, era del parere di non sprecare soldi per corredini e vestiti del battesimo. Avevo subito giudicato mio padre dal suo tono di voce. Mi arrivavano sovente le sue sfuriate, il suo tono di voce alto, minaccioso, di rimprovero. Durante la gravidanza mi madre era stata sovente malmenata da lui, sospinta. Spesso era caduta in terra. Era stata battuta e sul volto portava i segni di quelle percosse, e sulle braccia c’erano i lividi. Mia madre si era dovuta subito scontrare con la sua famiglia, chiusa e ostile, impenetrabile. Era una famiglia superba, amante del suo buon nome, conosciuta per la sua altezzosità. Tutti i membri di quella 30eletti. Le prime impressioni su mio padre furono quelle di un uomo retto ma troppo rigido. A tavola imponeva il silenzio, su tutte le questioni imponeva le sue decisioni. Era alto e possente e incuteva timore. Nei primi tempi era quasi invisibile. Non aiutava mia madre minimante e passava il tempo al bar con gli amici o in moto. Era un uomo senza religione, di sani principi morali, ma miscredente. Voleva imporre la sua decisione di non farmi battezzare. La religione per lui era una fandonia, una invenzione. Nessuno era obbligato a battezzare i propri figli. Non credeva nei santi, al demonio, alla verginità di Maria. Il suo grande di mia madre di età, con i capelli brizzolati e lo sguardo duro. Le sue parole erano legge, le sue risposte ferme. Ogni tanto rimproverava mia madre di comprare troppi vestitini per me e la criticava per ogni sua eccessiva manifestazione di affetto nei miei riguardi. Lui era del parere che i bambini non andavano presi in braccio quando piangevano per non viziarli, era del parere di non sprecare soldi per corredini e vestiti del battesimo. Avevo subito giudicato mio padre dal suo tono di voce. Mi arrivavano sovente le sue sfuriate, il suo tono di voce alto, minaccioso, di rimprovero. Durante la gravidanza mi madre era stata sovente malmenata da lui, sospinta. Spesso era caduta in terra. Era stata battuta e sul volto portava i segni di quelle percosse, e sulle braccia c’erano i lividi. Mia madre si era dovuta subito scontrare con la sua famiglia, chiusa e ostile, impenetrabile. Era una famiglia superba, amante del suo buon nome, conosciuta per la sua altezzosità. Tutti i membri di quella 30eletti. Le prime impressioni su mio padre furono quelle di un uomo retto ma troppo rigido. A tavola imponeva il silenzio, su tutte le questioni imponeva le sue decisioni. Era alto e possente e incuteva timore. Nei primi tempi era quasi invisibile. Non aiutava mia madre minimante e passava il tempo al bar con gli amici o in moto. Era un uomo senza religione, di sani principi morali, ma miscredente. Voleva imporre la sua decisione di non farmi battezzare. La religione per lui era una fandonia, una invenzione. Nessuno era obbligato a battezzare i propri figli. Non credeva nei santi, al demonio, alla verginità di Maria. Il suo ateismo si manifestava con discorsi contro la chiesa e la morale cattolica. Erano discorsi veementi, passionali, aggressivi. Le prime liti in famiglia avvennero proprio per il mio corredino, che per lui doveva essere sobrio, semplice ridotto all’essenziale e per il mio battesimo. I vestiti che mi venivano regalati gli sembravano inutili e superflui. Per il battesimo la nonna mi aveva regalato un vestitino in pizzo e tulle bianco un po’ lungo rifinito di raso. Aveva anche una graziosa cuffietta con ricami e brillantini. I miei genitori non si erano sposati in chiesa perché lui era fermamente contrario. L’atteggiamento di mio padre arrogante, presuntuoso, maligno si accordava perfettamente con il suo mondo interiore. Un mondo concreto libero da pregiudizi, da fedi . Il vestito del battesimo venne regalato in chiesa perché mio padre si opponeva al suo utilizzo come si opponeva al rito. Il suo viso tirato esprimeva perfettamente la sua disapprovazione. Compresi subito che era difficile venire al mondo, era difficile farsi accettare. Mio padre avrebbe voluto un maschio, un ragazzino vispo che perpetuasse la sua stirpe. Io invece ero una femmina, persino poco vivace. Passavo tutto il tempo a dormire, come se avessi già capito che solo nel sonno si poteva trovare ristoro ai dispiaceri della vita. Dormivo persino all’ora del pasto, mi addormentavo innocente sul seno di mia madre. Rispondevo alle asprezze del mondo, alle sue spigolosità con un sonoro sbadiglio. Dormendo dimenticavo la crudezza delle parole di mio padre, che non capivo ma sentivo che ferivano, la superficialità dei parenti, le lorrivalità, l’indifferenza dei vicini, la superiorità manifesta del potere, la altezzosità delle donne, la rabbia dei poveri, la tracotanza dei ricchi. Il sonno aveva il suo fascino malvagio. Nel sonno sognavo laghi di pura luce, baci ardenti, fiori colorati che mi consolavano, in lui il mio spirito volava , si librava nell’aria, inseguiva la fantasia. Nel sogno nessuno poteva trattenere la mia anima. Nel sogno ero libera, lieta non addolorata. Era perché ero una femmina che mio padre non mi guardava estasiato, non mi sorrideva mai, non approvava il mio essere . A tre anni un giorno di primavera avrei voluto andare con lui a una riunione di amici ma lui non mi volle portare, disse che se ero un maschio l’avrebbe fatto. Io invece mi sentivo carne della sua carne anche se imprigionata in un corpo di femmina. L’unico sorriso sincero era quello di mia madre. Lei non faceva per fortuna distinzioni di sesso. Fui battezzata di nascosto senza una festa solenne in un tardo pomeriggio cupo di pioggia. Madrina di eccezione era mia nonna. Non c’erano invitati, confetti, musica e allegria. Mio padre non si fidava della fede, dava poco valore alla religione. Con me aveva un atteggiamento da padrone, come se io fossi di sua proprietà. Intuivo già il carattere degli uomini, possessivo, austero, prepotente. Le discussioni in famiglia erano sempre più frequenti. Mia madre sopportava rassegnata, accettava il suo destino senza batter ciglio. Intanto il suo sguardo era sempre più smarrito e vacuo. Mio padre nel frattempo, quando la situazione in casa si faceva incandescente, usciva e raggiungeva gli amici.

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