

Nel titolo c’è il fil rouge di questa opera, il trascorrere del tempo, vissuto con il profumo dell’entusiasmo per la vita anche se a più riprese reso amaro da incomprensioni, delusioni e periodi di evidente sofferenza.
La domanda della nipotina che chiude “Il profumo dei giorni” è lecita “perché zia, cosa hai fatto di importante tu nella vita?” che giustifichi un’autobiografia e la risposta la possiamo rintracciare in ogni riga del testo che raccoglie una intensa sequenza di emozioni, di incontri e vicende che attraggono e coinvolgono il lettore pur non raccontando di esplorazioni galattiche, di imprese sovraumane o di riconoscimenti di eccellenze nell’arte o nello sport. Il valore aggiunto della narrazione è proprio in un approccio agli eventi nel segno della umiltà, nella rigorosa aderenza alla realtà, lontani da iperbole ed eccessi fastidiosi, men che mai da autocelebrazioni, una impronta che si coglie fin dalla presentazione ove l’Autrice esprime l’intento di “cercare di raccontare anche di un tempo in cui tutto era sconosciuto ma intuito , forse un po’ temuto, ma anche percepito come un incanto possibile”.
Silvia Traversa è una acuta ed instancabile fotografa, da sempre pronta a fermare l’attimo fuggente, anche un semplice brindisi vicino all’albero di natale e questa sua vocazione sembra integralmente e perfettamente messa in campo anche in questo diario ove persone, luoghi ed eventi ci scorrono davanti come fotogrammi perfetti nei tempi di esposizione. Il risultato è un album di figurine incollate con cura paziente. Nell’arco di tempo preso in esame, dalla prima giovinezza a Napoli ed a Lucrino fino alla nascita dei due figli, non c’è solo la storia della propria famiglia, peraltro mai banalizzata e mai giudicata da un pulpito, ma c’è un costante rimando alla vita di tutti, segnata dalla cronaca di eventi luttuosi come l’assassinio di J.F. Kennedy o la tragedia del Vajont, come pure dallo stile di vita del passato, ormai lontano, della Tv in bianco e nero con Alberto Manzi, padre Mariano, Mike Buongiorno ed altre figure che hanno segnato le esistenze di tutti noi.
In qualche frangente il suo coraggio nella descrizione di un personaggio o di una situazione delicata, o più spesso un proprio limite e una sua insita debolezza, appare quasi disarmante nella sua fedele aderenza al vissuto, ma al tempo stesso, proprio per la mancanza di un filtro di comodo o di una finalità manipolatrice del reale, ognuno dei settantuno capitoli risulta capace di magnetizzare l’attenzione del lettore che non cala di una goccia neanche quando si descrivono gli ambienti di lavoro, i periodi di studio, le frequentazioni affettive, un quartiere di Roma o l’approccio alla danza.
Se la sostanza del racconto,nella sua peculiare linearità, è ricca e contagiosa, lo stile utilizzato dall’Autrice non lo è di meno grazie a pennellate di colore date con una misura accattivante, modulando i ritmi espositivi con periodi che di rado superano le sei-sette righe. E’ difficile trovare un aggettivo che non sia quello più appropriato, che non risulti essere la tessera giusta di un mosaico proposto con un garbo ed una padronanza davvero rari anche per i letterati più navigati.
In questo diario molto particolare perché scritto a cuore aperto, Silvia Traversa sa dare straordinarietà ad una vita “normale” ammesso che esista un canone per definire una vita normale, rivelandosi una narratrice di prim’ordine, ruolo impreziosito dal suo sentire poetico peraltro non disgiunto da considerazioni filosofiche che ci toccano tutti, come ad esempio, quando annota il finire di una amicizia importante senza poter individuare una sola ragione di tale chiusura o quando si introduce nel terreno spinato dei rapporti controversi con la mamma.
In questa cavalcata di esperienze ed emozioni non ci sono momenti topici al negativo o al positivo, direi che l’Autrice, alla sua maniera, senza alzare la voce o salire in cattedra, ci fa capire che nella vita i grandi momenti non sono sempre quelli cerchiati sul calendario come Festa ma si nascondono dietro ad una solida amicizia o in coincidenza con una gita apparentemente insignificante, talora in coincidenza con un gesto o una frase che ci accompagnerà per tutta la vita.
Per mera cronaca letteraria, nel diario sono menzionate due crociere, una nel mediterraneo con partenza da Venezia ed un’altra in Grecia, non memorabili per organizzazione o stato d’animo, ma che hanno anticipato o forse segnato per sempre la voglia di andare di Silvia, ovviamente assecondata dal marito Alfredo.
Da ultimo, a conclusione di una lettura senza pausa quasi in veste di familiare aggiunto, mi piace riprendere, di questi giorni profumati, l’epilogo riguardante la morte dei genitori, un distacco viscerale che ci accomuna malinconicamente tutti, “uno degli eventi più traumatici e più naturali di questa magnifica imperfezione chiamata vita” e quello, a ben vedere non disgiunto, che guarda ai “figli ed agli splendidi compagni di vita da essi scelti, con la consapevolezza di aver avuto più di quanto avrebbe immaginato di avere e desiderare negli inquieti anni della giovinezza






