Concorso letterario in memoria dei vigili del Fuoco caduti in servizio 2019: i testi delle quattro opere premiate

Venerdì 09 Ottobre 2020 09:38
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Primo premio a Carlo Blangiforti con il racconto "Senza l'odio non c'è l'amor?"; il secondo premio a Luigi Pipitone per l'opera "Il delitto non paga: una storia di antieroi e di umana debolezza". Il premio della terza classificata conferito ad Anna Vita Conte per il racconto "Aveva appena trent'anni". Menzione speciale a Luigi Simonetti per l'opera "Caterinella".

 

 

Motivazione primo premio, curata dal viceprefetto Alberto Bordi, presidente del COMIRAP e membro della commissione giudicatrice del concorso:

"Il premio viene conferito per la originale e coinvolgente ricostruzione di un episodio avvenuto in

tempo di guerra, nel novembre 1942. La narrazione, emotivamente intensa, ha fornito l'occasione per definire al meglio la mission del Corpo dei Vigili del Fuoco attraverso il tempo e quindi nella storia, una mission individuabile, in estrema sintesi, nell'impegno di "salvare persone", come chiaramente espresso nell'incipit del racconto.

Con una puntuale ed incalzante descrizione dei pensieri e degli stati d'animo dei protagonisti della vicenda, l'Autore ci ha fatto realisticamente partecipi di una pagina di storia vera, trasmettendoci le paure e la crudeltà della guerra, ma anche il significato più autentico della appartenenza al Corpo dei Vigili del Fuoco.

Su di uno "zatterone", nelle acque di Malta, nel corso di un bombardamento in mare, due pompieri volontari nel Battaglione Santa Barbara ascoltano le sinistre parole di una canzoncina nemica che recita "senza l'odio non c'è amore", titolo del racconto. La replica decisa dei due uomini si fonda sulla assoluta convinzione che "l'amore c'è sempre e comunque" e che "noi salviamo le persone, non le lasciamo morire".

Ed in questo impegno, sempre vivo nelle nostre coscienze, in passato come ancora oggi, in tempo di guerra come in tempo di pace, noi tutti ci riconosciamo fermamente, in ogni angolo di territorio, anche nel paesino più sperduto, ovunque sia urgente e necessario salvare una vita umana e chiunque si trovi in una situazione di pericolo o di difficoltà.

Questo ce lo diciamo ogni giorno, questo dice la storia.

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Il testo del primo classificato -  Carlo Blangiforti con il racconto "Senza l'odio non c'è l'amor?"

A largo di Malta, 23 novembre 1942- XXI E. F. – Operazione C3

“Noi questo facciamo! Salviamo le persone, non le ammazziamo”.

Me lo dico mentre questa nebbia lattiginosa ci avvolge come fosse bambagia, non si vede niente, di tanto in tanto qualche lampo attraversa l’aria quasi in filigrana, mentre le nostre facce si contraggono in smorfie di impazienza. Ma non sono lampi è la Luftwaffe.

– Certo che salviamo vite, le vite delle persone che vogliamo bene… Vito, è per questo che siamo su questo zatterone.

Con Angelo ci siamo conosciuti in treno, lui è salito a Salerno, direzione Roma.

– Zanot, mi chiamo Angelo Zanot.

– Che sei tedesco?

– I miei sono di Rovereto, ma io sono nato a Bengasi, sono cresciuto in Libia.

Anche lui come tutti noi si è offerto volontario per entrare nel battaglione Santa Barbara.

“Ma noi salviamo la vita delle persone, però non ammazziamo gli altri. Noi la salviamo e basta!”

Mi ripeto senza quasi rifletterci, come si ripete il rosario. Lo so mi sono offerto volontario perché sono giovane, giovane e stupido, perché non ho voluto ascoltare mio padre, lui la guerra l’ha fatta per davvero sul Carso. L’avventura mi dicevo? Partecipo alla Storia, difendo il sacro suolo d’Italia. Da Miscari siamo partiti in quattro, tre non ce l’hanno fatta, hanno capito subito che essere pompiere è diverso da essere soldato, è essere oltre. Io non l’ho capito subito, l’ho capito dopo, ma era troppo tardi per tirarsi indietro, il Vigile Scelto Incardona Vito è qui su questo zatterone con la sua centuria per manovrare le volate delle autoscale, per far salire sopra le scogliere questi invasati del Pola, il LX Battaglione Camicie Nere da sbarco e invadere Malta.

Non sarei stato qui se Rommel avesse continuato l’avanzata in Egitto, invece stallo. Noi e gli inglesi, uno davanti all’altro, a giocare a pallone ad ascoltare la radio e a ballare. Guardo un punto qualsiasi lì davanti, oltre questa strana nebbia troppo spessa per non nascondere qualcosa di sinistro. Cosa ci facciamo noi Vigili del Fuoco, qui? Noi salviamo le persone, non facciamo ammazzare. Eccoli iniziano a cantare “Battaglioni della morte / battaglioni della vita / ricomincia la partita / senza l’odio non c’è amor.”

Quando nel silenzio della notte si alza questo inno che rimbalza contro la nebbia, colpendo le orecchie come uno schiaffo a palmo aperto, mi volto verso Angelo: lui ha già capito il mio sguardo perplesso “… senza l’odio non c’è amor”? Senza odio c’è l’amore, certo che c’è odio e amore sono come acqua e olio. Angelo lo capisce come uno che sa cos’è l’odio, le ferite profonde che lacerano le carni senza che possano rimarginarsi, mai, ancora mai, ogni parola pare riaprire una ferita nel suo petto e anche nel mio. «La guerra è una porcata! Questi non lo capiranno finché una bomba non squarcerà loro la pancia»

Angelo pare cattivo, ma non lo è. È solo cinico come cinici sono tutti quelli che hanno familiarità con la morte. In Libia, da ragazzo, ne ha viste di cose brutte.

– Vito, ho visto quando a Soluch hanno appeso Omar ʿ al-Mukhtār! A scuola ci hanno portato a vederlo.

Soffia una risata strozzata e amara, sibila nella notte come quella di un uccello macabro. Ora capisco perché si è voluto arruolare nei pompieri, meno perché si è voluto imbarcare in questa impresa insensata.

– Proprio per questo!

– Cioè?

– Perché è insensata. Credi che ci sia qualcosa a questo mondo che abbia senso?

La bruma così fitta attorno a noi, i rombi che attraversano questo cielo cupo, le risate e i canti dei compagni di viaggio, nulla, nulla ha senso. D’un tratto si sente un rumore acuto, un aereo che passa sopra le nostre teste. Deve essere un ricognitore.

– Questi sono i nostri. Ora a questi bastardi glielo faremo vedere.

Le risate delle Camicie Nere riempiono l’aria, come si riempie una scatola di cose ancora belle ma che non servono più.

– E quelli che restano vivi li ricacceremo a pedate in culo in Inghilterra.

Ora il suono diventa quasi un ronzio che sega la notte, un ronzio sempre più vicino, tranquillizzante.

– No, non mi sembra un aereo nostro…

– Sarà dei tedeschi.

Riusciamo a intravedere luci, lampi, staranno bombardando le postazioni inglesi sulla costa. Poi tocca a noi, tiriamo su queste scale e poi speriamo bene.

Guardo Angelo, quasi a cercare conforto, ma la sua espressione mi suggerisce i suoi timori. No, non crede che tutto andrà come debba andare, nella migliore delle ipotesi saranno falciati dalle mitragliatrici Bren ancora sulle scale.

Due o tre aerei tornano a passare sopra le nostre teste. Non mi piace questa cosa, tento di dirlo anche ad Angelo. Non mi ascolta, fissa con i suoi occhi trasparenti il cielo, le sagome bizzarre dei velivoli, l’acciaio delle carlinghe dei Supermarine Spitfire.

È un istante, mi spinge fuori dallo zatterone, in acqua, mi trascina sotto il bordo. Il camiciotto, gli stivali, i calzettoni si riempiono di mare, un odore appena accennato, ma penetrante, di nafta, si infiltra nelle mie narici. Appena in tempo: gli aerei mitragliano la nostra imbarcazione. No, non cantano più, le sillabe si sono loro bloccate in gola ma in testa continuano a risuonarmi “Senza l’odio non c’è amor… Senza l’odio non c’è amor… senza l’odio non…” È una eco che rimbalza contro il muro di nebbia, rimpalla contro le ali d’acciaio degli aerei, sulle nostre facce stupite. Poi il silenzio, un silenzio pesante, malato, insano. Si sente solo un lieve sciabordio e i nostri respiri pesanti. Il mio amico è a qualche palmo da me, nel buio intravedo i suoi lineamenti regolari, non parla, mi preoccupo.

– Come stai, tutto intero?

– Tutto intero, Vito.

L’attesa diventa lunga, lunghissima: è meglio restare ancora dietro la barca, dovessero tornare i caccia. Piano piano perdiamo la cognizione del tempo, non abbiamo idea di quanto restiamo in acqua.

– Sei un vigliacco!

– Anche tu sei un vigliacco!

– Vero, siamo due vigliacchi, due vigliacchi vivi!

Sentiamo in alto, sempre più lontani, gli aerei nemici, il frastuono, a distanza di ore, pare continui a torturarci i timpani, ma oramai è solo un ricordo, piano piano diventa un sordo ronzio. Dicono che è normale, dicevano che avremmo vinto, spezzato le reni alla Grecia, dicono che passerà, dicevano che sarebbe stata una passeggiata di salute, dicono un sacco di cose e nessuna ci è d’aiuto.

Credo sia giunto il momento, bisogna ritornare a bordo, sperare che la radio non sia stata danneggiata, provare a chiamare gli altri zatteroni, avvertili del pericolo, se mai non se ne fossero accorti, e chiedere aiuto. Non riusciamo a vedere se nell’imbarcazione ci sono morti, non riusciamo a vedere se ci sono feriti, solo silenzio ed è sinistro Fatichiamo non poco a tornare a bordo. Corro verso poppa, apro la cassetta con le attrezzature, c’è una torcia Crone RB. L’accendo e la punto a illuminare il ponte, me ne frego se gli inglesi ci vedono. Sangue, sangue dappertutto, ora a chiazze, ora a lunghe striature come di un corpo che si è trascinato fuori. Ma non c’è nessun corpo, nessun ferito. Nulla. Angelo si è precipitato alla radio: è un miracolo, funziona. Chiama, lancia l’SOS, qualcuno risponde ma il segnale è disturbatissimo, capiamo che hanno capito, ci siamo, siamo qui, veniteci a prendere.

“Yes yes.” Sono inglesi. Pazienza, il nostro lo abbiamo fatto: meglio prigionieri che morti.

Ci lasciamo cadere esausti sul ponte. Aspettiamo, si vede che doveva finire così, quando ad un tratto sentiamo battere contro la murata, come pugni dall’interno di una bara, prima a dritta poi a babordo: non è un colpo solo, ma decine, centinaia. È come essere dentro un tamburo, sentiamo rimbombare tutto, la nebbia attutisce ma diffonde in uno spazio indefinibile. Ancora, ancora, ancora…

Forse scogli, no, no… forse delfini o pescecani che hanno fiutato il sangue delle Camicie Nere. Abbiamo paura, ma ci avviciniamo alla murata, ci sporgiamo: tanti, sono in tanti, corpi che galleggiano a pelo d’acqua, se ne sarà salvato qualcuno, dobbiamo tirarli su, non c’è tempo da perdere. Ci riusciamo a fatica e ne tiriamo a bordo uno, provo a rianimarlo mentre Angelo mi fa luce con la torcia.

– Ma chi diavolo è?

– È nero, un africano. Non avevamo ascari a bordo, vero? Che sia un inglese… ma che diamine.

Quello si rianima, ma è terrorizzato, e inizia a parlare mezzo arabo e mezzo inglese… “Sciucran, coll, plis, Itali, plis, coll…” e ci allunga un aggeggio, pare una torcia tascabile “Plis, coll, help… telefon...” Mi fa capire che devo premere un tasto, lo faccio. Un telefono, una radio? Si sente prima un tu-tu e poi qualcuno che risponde

– This is the Italian Maritime Rescue Coordination Center, il Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo. Comunicateci la vostra posizione che inviamo una motovedetta in soccorso. Il naufrago mi chiede di premere il tasto rosso. “Sciucran, Sciucran...”

Non è vero che senza l’odio non c’è amore, l’amore c’è sempre e comunque, e se ne fotte dell’odio, perché noi siamo così da sempre: noi salviamo le persone, non le lasciamo morire.