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Home Norme e diritto Usurpazione del titolo di avvocato da parte di soggetto che ha superato il previsto esame senza procedere all'iscrizione all'albo. Di Alberto Bordi

Usurpazione del titolo di avvocato da parte di soggetto che ha superato il previsto esame senza procedere all'iscrizione all'albo. Di Alberto Bordi

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Testo e ratio dell'articolo che analizza tale fattispecie, contenuto nel R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 che regola l'Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore. Le sanzioni indicate nell'articolo 498 del Codice Penale

 

Alcuni anni fa assistetti all'esame di avvocato di una mia familiare. Ricordo ancora oggi con orgoglio e commozione il momento finale di quella prova orale, allorchè la commissione giudicante si alzò in piedi in contemporanea per complimentarsi con la preparazione e la vocazione mostrata dalla giovane candidata nel corso dell'esame. Prima di quella memorabile standig ovation nel mondo del diritto, era stato il turno di un altro candidato che per la terza volta si presentava a sostenere quel difficile esame orale, indispensabile per l'iscrizione all'ordine degli avvocati, con grande apprensione dei genitori, visibilmente preoccupati. L'esame fu davvero modesto (in una materia addirittura disastroso) e la scarsa preparazione di quel candidato, di cui mi rimase impresso il cognome, si appalesò in modo penoso, ma l'esito finale di quella prova fu, inopinatamente ma fortunatamente, anche per lui, positivo, una sorta di premio pietoso alla tenacia.

Per i strani casi della vita mi capitò di imbattermi ancora in quel ragazzo, diventato funzionario pubblico, in occasione di una sua rivendicazione all'utilizzo del titolo di avvocato sulla scorta del mero superamento degli esami, senza la correlata iscrizione all'albo professionale, un tema peraltro riproposto in vari ambiti da soggetti nelle identiche condizioni.

Al riguardo giova menzionare  preliminarmente l'articolo 1 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 che regola  l'Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, che, al Titolo I - Disposizioni generali - recita quanto segue:

"1. Nessuno può assumere il titolo, né esercitare le funzioni di avvocato o di procuratore se non è iscritto nell'albo professionale.

Conservano tuttavia il titolo quegli avvocati e procuratori che, dopo averne acquistato il diritto, sono stati cancellati dall'albo per una causa che non sia di indegnità.

La violazione della disposizione del primo comma di questo articolo, quando non costituisca più grave reato, è punita, nel caso di usurpazione del titolo di avvocato o di procuratore, a norma dell'art. 498 del codice penale, e, nel caso di esercizio abusivo delle funzioni, a norma dell'articolo 348 dello stesso codice."

Alla luce delle disposizioni richiamate, è di palmare evidenza come, per assumere il titolo o esercitare le funzioni di avvocato, sia necessario essere iscritti all'ordine professionale, iscrizione che si perfeziona con il giuramento innanzi all'autorità giudiziaria preposta a tale rituale adempimento. Proprio il giuramento, al di là dello  scenografico cerimoniale che ne costituisce il corollario di prassi, assume, nella vexata quaestio, un aspetto di particolare rilevanza, in quanto il candidato, potenzialmente "abile" alla professione in base al superamento dei previsti esami, viene, in forma pubblica, "abilitato" al concreto esercizio della professione sulla base della acquisita conoscenza e dell'assunzione dell'impegno,  rispetto, ai principi deontologici che ispirano il ruolo dell'avvocato e la professione forense. Siamo di fronte ad una investitura di uno status e di un ruolo cui il legislatore affida un incarico di massima importanza nelle dinamiche giuridiche processuali che riguardano la collettività.

Il secondo comma della disposizione in parola prevede la conservazione del titolo per quanti siano stati iscritti all'albo per poi esserne cancellati, purchè detta cancellazione non sia stata causata da indegnità. La ratio della norma trova evidente giustificazione nell' impegno, economico e deontologico, assunto dall'iscritto, comunque entrato a pieno titolo nel modo della professione legale.

Per molti la ragione di questa impostazione del legislatore si fonderebbe solamente su (bieche) motivazioni economiche, legate all'intento di far  pagare le previste quote da versare all'albo professionale. Sul punto c'è da considerare  pure che l'iscrizione ed il giuramento costituiscono tangibili segnali di un effettivo intento di avviarsi alla attività professionale de qua, totalmente esclusa, invece, per quanti, dopo il superamento delle prove abilitative, siano rimasti nella  mera condizione di "idonei" al ruolo di avvocato, non essendosi  affatto calati  in concreto nello status professionale e nell' impegno connesso all'esercizio reale dell'attività di avvocato. Tali soggetti verosimilmente hanno inteso intraprendere carriere e vite lavorative, in ambiti pubblici o privati,  distanti dalla canonica attività di avvocato, pur operando in settori amministrativo-giuridici connessi alla laurea conseguita, nella quale vorrebbero che restasse traccia dell'onorevole e positivo  esito dell'esame di avvocato. Ragionando a contrario, in virtù di un intenso ed inscindibile legame  tra attività/iscrizione/giuramento, nessun avvocato di professione manterrebbe l'appartenenza all'albo, con il pagamento dei connessi oneri di legge, se non esercitasse, a tutti gli effetti, la professione di avvocato. Fregiarsi del titolo di avvocato per quanti "non vestono la toga" e non si muovono nelle dinamiche processuali forensi, non appare coerente con la realtà di fatto e di diritto, fermo restando che il superamento delle prove abilitative resta comunque patrimonio indelebile di ogni soggetto, che validamente può farne menzione nel contesto del  proprio curriculum vitae.

Pochi conoscono l'etimologia del termine "advocatus" che risale al mondo latino, ove, inizialmente, in sede processuale, una o tutte le parti in causa, si giovavano di una persona influente, chiamata (advocata) per presenziare al dibattimento in modo da influenzare le decisioni dei giudici. In tempi successivi i chiamati (advocati) si dotarono della necessaria conoscenza di norme e procedure per dare più forza alla posizione della parte rappresentata o supportata.

L'usurpazione o l'abuso del titolo di avvocato ci porta nel novero dei delitti contro la fede pubblica,  comportando il reato, a norma dell'art. 498 del codice penale, della falsità personale: " Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 497 ter, abusivamente porta in pubblico la divisa o i segni distintivi di un ufficio o impiego pubblico (introdotta dal D.L. 30 dicembre 2005, n.272, convertito con modificazioni, nella l. 21 febbraio 2006, n. 49), o di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, ovvero di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, ovvero indossa abusivamente in pubblico l'abito ecclesiastico, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria..........

Alla stessa sanzione soggiace chi si arroga dignità o gradi accademici, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, ovvero qualità inerenti ad alcuno degli uffici, impieghi o professioni, indicati nella disposizione precedente.

Per le  citate violazioni, reati depenalizzati, si applica la sanzione amministrativa accessoria della pubblicazione del provvedimento che accerta le violazioni con le modalità stabilite dall'art. 36 e non è ammesso il pagamento in misura ridotta previsto dall'art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

La norma  dell'art.498 Codice Penale considera due distinte ipotesi delittuose; mentre quella di usurpazione di titolo di cui al primo comma richiede per la sua punibilità la pubblicità, in quanto tutela la pubblica fede che può essere tratta in inganno da false apparenze determinate da comportamenti esternati in pubblico, per l'ipotesi di cui al comma due non è necessario l'estremo della pubblicità del comportamento, in quanto l'arrogarsi si riferisce essenzialmente al fatto di attribuirsi indebitamente o illegalmente titoli od onori.

Si rammenta che L'esercizio delle professioni di avvocato e di procuratore è incompatibile con l'esercizio della professione di notaio, con l'esercizio del commercio in nome proprio o in nome altrui, con la qualità di ministro di qualunque culto avente giurisdizione o cura di anime, di giornalista professionista, di direttore di banca, di mediatore, di agente di cambio, di sensale, di ricevitore del lotto, di appaltatore di un pubblico servizio o di una pubblica fornitura, di esattore di pubblici tributi o di incaricato di gestioni esattoriali.

La giurisprudenza in materia ha sottolineato come l'iscrizione all'albo abbia carattere di accertamento costitutivo di uno status professionale e come l'omessa iscrizione determini la nullità dei contratti posti in essere da presunti avvocati, non annoverabili come tali per non essersi mai iscritti al relativo albo professionale. La Corte di Cassazione ricorda che il nostro codice punisce non solo l'abuso di un titolo o di segni distintivi di un ufficio pubblico, ma anche il fatto di arrogarsi ''dignità o gradi accademici, titoli o qualità'''.

Si configura  il delitto di cui all'art. 498 c.p. quando la fede della generalità dei cittadini viene tratta in inganno sia mediante la pubblica esibizione di segni distintivi di particolari uffici pubblici o di professioni protette (per le quali cioè è richiesta una speciale abilitazione dello Stato), sia mediante la pubblica auto-attribuzione di particolari titoli conferiti dalla potestà pubblica o di qualità inerenti ad alcuno degli indicati uffici o professioni. Peraltro il reato di usurpazione di titoli o di onori, di cui all'art. 498 c.p., non può considerarsi assorbito da quello di abusivo esercizio di una professione, di cui all'art. 348 stesso codice. I due reati, infatti, possono concorrere materialmente poiché le due norme tutelano distinti beni giuridici.

 

 

 

 

 

 

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