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Home Norme e diritto Il concetto di forza maggiore e le possibili soluzioni nei contratti "contagiati" dal coronavirus. Di Alberto Bordi*

Il concetto di forza maggiore e le possibili soluzioni nei contratti "contagiati" dal coronavirus. Di Alberto Bordi*

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La pandemia da coronavirus, nella sua dannosa incidenza su ogni aspetto della vita di relazione, ha scardinato anche gli equilibri esistenti in tanti contratti sinallagmatici, in cui una delle prestazioni viene ad essere ineseguibile in parte o in toto

 

 

 

 

Il concetto di forza maggiore, che vanta tanti anni di vita quanti quelli del diritto, rinvenendone traccia perfino nelle compilazioni Giustinianee, si fonda sostanzialmente sulla accertata presenza di eventi non gestibili dalla umana volontà e quindi meritevoli di una disciplina peculiare da parte del legislatore, anche per gli "straordinari" effetti nella sfera penale ed in quella civilistica.

In campo penale, la presenza di una causa di forza maggiore esclude la imputabilità del reo a meno che non si ravvisino dolo o colpa prima e dopo i periodi di tempo in cui si è registrato un evento "superiore alla volontà umana". Ai sensi dell’art 45 del Codice penale "Non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore", intendendo per "caso fortuito" l’avvenimento imprevedibile ed eccezionale che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto, mentre la forza maggiore è la cosiddetta vis maior cui resisti non potest, cioè quella forza esterna che determina la persona a compiere un’azione cui questa non può opporsi.

In campo civilistico la presenza di una causa di forza maggiore incide soprattutto nei contratti sinallagmatici, a prestazioni corrispettive, in cui una delle stesse diventa totalmente o parzialmente ineseguibile. In tale ultimo caso, per quanto attiene all'ambito obbligazionario, resta dovuta la parte di prestazione non intaccata dalla vis maior. E' il caso di evidenziare come nelle obbligazioni generiche, a differenza di quanto avviene per le obbligazioni specifiche, la causa di forza maggiore non liberi il contraente dalla prestazione dovuta. Ricordiamo inoltre come l'onere di provare il verificarsi della causa di forza maggiore e della sua concreta ed effettiva incidenza sulla effettuazione della prestazione dovuta, gravi sul debitore, cui spetta pure l'onere di comunicare tempestivamente alla controparte le difficoltà sopraggiunte a causa di uragani, guerre, terremoti, catastrofi naturali e di epidemie, come quella del coronavirus dell'anno bisestile 2020. Peraltro le parti, in sede di accordo contrattuale, possono accordarsi anche sulla non applicabilità del principio di forza maggiore, clausole spesso applicate nei Paesi anglosassoni, ove gli ordinamenti tendono a limitare la portata della force majeure alla luce dei principi di frustration nel Regno Unito e di impraticability negli Stati Uniti. E' di tutta evidenza inoltre come la causa di forza maggiore  non operi in presenza di colpa o mora del soggetto che eccepisce l'impossibilità ad eseguire la prestazione. In verità nel nostro ordinamento non esiste una disciplina specifica riguardante la forza maggiore, ma l'articolo 1256, I comma del codice civile ne fornisce una definizione, individuandola come "qualsiasi causa non imputabile al debitore che rende impossibile l'adempimento". Il termine "forza maggiore" è  peraltro citato in altre norme del Codice Civile, fra le quali l’art. 1785 c.c., inerente ai limiti di responsabilità dell’albergatore in caso di deterioramento, distruzione o sottrazione. E' il caso di richiamare anche le disposizioni in cui l’inadempimento non è imputabile al debitore. L’art. 1256 c.c., il quale stabilisce che l'obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se, inoltre, l'impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento; tuttavia l'obbligazione si estingue se l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione o alla natura dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero, il creditore non ha più interesse a conseguirla. L'art. 1218, che recita  testualmente "Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile".

L'impossibilità sopravvenuta, di particolare rilevanza nei contratti internazionali, per essere debitamente valutata dalla controparte, deve essere in ogni caso espressa e documentata; al riguardo molti governi, come quello cinese, hanno aiutato le imprese fornendo loro la documentazione comprovante l' impossibilità di adempimento a causa della pandemia da Covid 19.

Quali sono le cause di forza maggiore? Mettiamo insieme i connotati di straordinarietà, imprevedibilità, inevitabilità ed ingestibilità ed arriviamo ad individuare come tali i terremoti, le alluvioni, i cataclismi naturali in genere, le guerre, le epidemie e, a maggior ragione, la pandemia che in questi tempi sta mettendo a dura prova la sopravvivenza, gli stili di vita, i comportamenti, l'economia di gran parte del genere umano. Accertato che il concetto di vis maior è concretamente in grado di impedire totalmente o parzialmente l'obbligazione contrattualmente prevista e quindi di rompere l'equilibrio bilanciato delle prestazioni, la parte che si trova in difficoltà, diretta o indiretta, nella esecuzione della prestazione, normalmente si fa carico di comunicare tale difficoltà e di chiedere o proporre una modifica contrattuale, anche nel caso in cui la prestazione è ancora possibile ma è resa eccessivamente onerosa in conseguenza della pandemia. In molti casi la parte impossibilitata non può pretendere la controprestazione dell'altra parte. In questi frangenti, dominati dalla causa di forza maggiore, non scatta la risarcibilità contrattuale, a meno che questa non si riferisca a situazioni di ritardo o inadempimento precedenti al lasso di tempo del contagio.

Dopo la comunicazione di una parte all'altro soggetto del contratto in merito alle difficoltà di adempiere correlate alla pandemia, quali sono le strade che conducono a soluzioni circa il contratto in essere?

A) La sospensione della pretesa di adempimento di una prestazione contrattualmente disciplinata. Tale rimedio è finalizzato a superare il momento di difficoltà non riconducibile alla attività del debitore ma determinato da cause che investono "dall'alto"  il rapporto  giuridico in essere. E' il caso, ad esempio, di un contratto di affitto aziendale in cui l'impresa conduttrice della locazione cessa o riduce la propria attività economica con conseguente difficoltà a corrispondere il canone pattuito nell'accordo originario. Terminata la fase di "fermo" legata alla forza maggiore, è da ritenere che la parte sospesa temporaneamente dalla obbligazione de qua, debba corrispondere i canoni non versati, con modalità concordate tra le parti e gravose nella misura minore possibile per il debitore. La durata della sospensione va rapportata quindi alla durata della pandemia e delle conseguenze ad essa ricollegabili.

B) La rinegoziazione. Alla luce del repentino mutamento dello scenario giuridico-economico  determinato dalla pandemia è auspicabile e preferibile la strada di un incontro tra le parti finalizzato a correggere taluni aspetti del contratto primigenio. Deve trattarsi di un accordo scritto che può fare rinvio a specifiche normative applicabili in casi analoghi oppure liberamente determinato dalle parti. Nel caso in cui venga meno l'interesse di una delle parti a proseguire il contratto può essere fissata una data di fine accordo. Può essere deciso invece consensualmente un adeguamento di un canone al ribasso che, ovviamente, avrà durata fino agli effetti della causa di forza maggiore, per riespandersi nel momento del ripristino delle condizioni (socio-economiche e di mercato) esistenti al momento della stipula originaria.

C) La risoluzione contrattuale. E' l'extrema ratio se non c'è accordo tra le parti oppure non c'è interesse di una delle parti a proseguire il rapporto, nè alle condizioni originarie nè a quelle eventualmente proposte nella fase di criticità. L'art. 1467 c.c., rubricato  come "contratto con prestazioni corrispettive", riconosce al debitore la facoltà di richiedere la risoluzione del contratto nel momento in cui la prestazione da lui dovuta sia diventata eccessivamente onerosa per fatti straordinari ed imprevedibili, estranei alla sua sfera d’azione.

*Già viceprefetto e docente di diritto pubblico presso la SSAI, esperto di contenzioso amministrativo, procuratore legale, scrittore e giornalista istituzionale

 

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