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Home Norme e diritto L’impiego dei pensionati. Il diritto al lavoro del personale in quiescenza

L’impiego dei pensionati. Il diritto al lavoro del personale in quiescenza

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Si riporta, sul tema, lo stralcio di un interessante articolo di Antonio Alberto Azzena e Francesco Monceri datato 1 aprile 2018 e scritto per la rivista elettronica di diritto pubblico AMMINISTRAZIONE IN CAMMINO diretta dal prof. Giuseppe Di Gaspare

 

La disamina dei due autori, frutto di una riflessione comune (da attribuire a Francesco Monceri i paragrafi 1-3 e ad Antonio Alberto Azzena i paragrafi 4-5), parte dalla evoluzione delle ipotesi tassative in cui opera il divieto di conferibilità di incarichi "pubblici" al personale in quiescenza, supportata da puntuali richiami alla normativa in materia. Viene approfondito poi il concetto di gratuità di detti incarichi e riportata la giurisprudenza più significativa sulla problematica in questione, per approdare quindi alle conclusioni su una dinamica in divenire, compressa tra due componenti antitetiche, quali l'utilizzo della preziosa esperienza di chi ha operato per tanti anni nel comparto pubblico e l'esigenza di contenere la spesa pubblica e di non impoverire il bagaglio di opportunità lavorative per le giovani generazioni.

 

Leggi l'articolo per intero

 

L’impiego dei pensionati. Il diritto al lavoro del personale in quiescenza fra garanzia e elusione. Difficile far quadrare il cerchio

di Antonio Alberto Azzena e Francesco Monceri  1 aprile 2018

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. L’evoluzione delle ipotesi tassative in cui opera il divieto. Dal principio dell’inconferibilità a quello della gratuità. – 3. La limitazione delle opportunità di lavoro del soggetto in quiescenza. – 4. Sugli incarichi conferibili a titolo oneroso ai lavoratori in quiescenza. – 5. Conclusioni

 

Conclusioni

L’attuale formulazione del divieto di conferimento a lavoratori pubblici e privati

in quiescenza da parte delle pubbliche amministrazioni di cui all'art.5 comma 9 del

d.L.95/201228, mostra, in definitiva, elementi di evidente contraddittorietà rispetto al fine

che sin dagli anni 90 ne aveva suggerito l’adozione, ossia l’effettivo ricambio

generazionale nella p.a. soprattutto negli incarichi di tipo direttivo/dirigenziale.

In parallelo, peraltro, risulta poco comprensibile il mancato divieto di cumulo di

incarichi (previa autorizzazione) per il lavoratore non in quiescenza, poiché anche tale

prassi costituisce un problema all’ingresso di forze nuove nella p.a. La diversa disciplina

di tali situazione che viene così a prender forma determina, infatti, un’incomprensibile

disparità di trattamento tra la tutela del diritto al lavoro del dipendente attivo rispetto a

quella del lavoratore in queiscenza.

Non secondariamente, la sostituzione del principio della gratuità a quello della

inconferibilità determina la possibilità di affidare sine die al lavoratore in quiescenza

qualsiasi tipo di incarico diverso da quelli dirigenziali/direttivi, con effetti evidentemente

opposti a quelli che ispirano il principio del favor per il ricambio generazionale nella p.a.,

di cui si è detto.

Problema, che invero, pare anche riguardare gli incarichi direttivi/dirigenziali dal

momento che l’argine della durata massima annuale dell’incarico sembra in effetti poco

solido; tale limitazione può essere variamente elusa ad esempio spostando periodicamente

il lavoratore in quiescenza da amministrazione ad amministrazione diversa, affidando più

incarichi nello stesso periodo, così come si è detto che lo stesso limite alla “proroga” e al

“rinnovo” non costituiscono limiti assoluti ad una successiva o diversa utilizzazione del

medesimo lavoratore in quiescenza.

Ulteriore punto critico della norma è rappresentato, infine, dall’ampia gamma di

incarichi che sfuggono al divieto in cui rimane pur possibile affidare incarichi a soggetti

in quiescenza a titolo oneroso.

Difatti, tale norma sembra poter indurre ad utilizzare il personale in quiescenza

per incarichi per così dire minori e finanche sottodimensionati rispetto all’esperienza

maturata nella vita lavorativa.

Cosicché, anche in questo caso, si finisce per perdere il valore aggiunto

dell’esperienza consentendo invece che ad esempio ex dirigenti vengano (sotto)impiegati

per funzioni che potrebbero essere ricoperte assumendo personale più giovane e non

occupato (che potrebbe così fare esperienza), conseguendo il duplice obbiettivo di

frustrare sia il valore di continuare a giovarsi delle qualità migliori del lavoratore in

quiescenza sia l’esigenza del ricambio generazionale.

 

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