A sessanta anni dalla legge che istituiva l’ordinamento della professione, in Parlamento si dibatte su una nuova e più moderna modulazione della figura del giornalista, passato indenne attraverso il ciclone informatico e l’era dei social
Lo switch tra informazione cartacea e digitale ha circa venti anni di storia ed ora il prossimo appuntamento epocale riguarderà un passaggio ancora più rilevante e probabilmente traumatico, quello dalla elaborazione umana alla intelligenza artificiale, che vede tra i protagonisti, speriamo non passivi, anche i giornalisti.
La prima ed assorbente domanda è “può l’intelligenza artificiale scrivere un articolo, un saggio, un dossier o altro ancora al posto di una persona che esercita la professione di giornalista? La risposta è “certo che sì” ed è per certi aspetti devastante, annichilente, perché toglie di mezzo e sostituisce la figura umana, per di più colta, esperta e capace di trasmettere informazioni ed emozioni alla platea dei lettori.
E’ come il distributore automatico del caffè che ha mandato in pensione molti baristi/barman bravi, esperti, simpatici, ma la bevanda richiesta viene fornita, a domanda – a gettone, anche dal distributore, nonostante questo non parli, non sia simpatico, ma è terribilmente funzionale, anche perché può essere perfino più rapido ed economico dell’amico dietro al bancone, a parità di qualità del prodotto. Bello ma terribile. Forse il prossimo passaggio della tecnologia metterà a disposizione dell’umanità figure simil-umane o veri cloni con i quali fare l’amore. Ancora più terribile. I film futuristi che abbiamo visto sono realtà. Cosa può differenziare un articolo prodotto dalla intelligenza artificiale da quello di un giornalista provetto? Forse nulla. L’aspetto emotivo? Forse neanche quello perché con un accurato inserimento di dati anche questo profilo può materializzarsi.
L’intelligenza artificiale dove prenderà i dati per il suo articolo a comando? Da quanto scritto fino ad oggi da letterati, giornalisti e non giornalisti e che trovi facilmente nel macrocosmo del web. Forse è lì che si può giocare una partita, ossia nella difesa di quanto già scritto e di quanto gli umani continuano a scrivere. E chi ci tutela su questo fronte? Il copyright che in questo contesto riprende un valore ed una forza inaudita perché va ad inserirsi nella fonte primaria della intelligenza artificiale, ossia la banca dati fluttuante on line.
Sono trascorsi sessanta anni dalla Legge n.69 del 1963 che dusciplinava l’ordinamento della professione giornalistica in Italia ed in questi giorni in Parlamento si lavora su una sua riforma che appare necessaria ed opportuna, soprattutto per anticipare e contrastare i rischi connessi all’utilizzo del Large Language Model.
Quali regole da cambiare? L’informazione e la comunicazione sono cambiate a ritmo vertiginoso ed alcune procedure previste dalla legge del 1963 sono anacronistiche; lo stesso sistema di valutazione per l’ingresso all’ Albo, che costarono la bocciatura ad un certo Alberto Moravia, non sembrano al passo dei tempi.
Il sistema di elezione del componenti del consiglio, oggi effettuata con tre turni, sembra una procedura lunga, farraginosa e dispendiosa; le misure dei consigli di disciplina non risultano congrue ed efficaci rispetto ai troppi casi ed agli episodi non deontologici in pasto all’opinione pubblica, oltre che in riferimento ai tanti soggetti iscritti all’Albo che non hanno dato una buona immagine di se e quindi della classe giornalistica. I master mirati funzionano da Roma in su, le scuole del meridione chiudono o vacillano. Senza essere né tecno scettici né tecnofili, è sotto gli occhi di tutti come l’ informazione cresca ed in forme sempre nuove e tecnologicamente avanzate, ma molti iscritti all’albo sembra non siano in grado di tenere il passo al cambiamento. Molti dei giornalisti regolarmente iscritti non si sa che cosa facciano, mentre è ipotizzabile una sacca esterna all’albo che pratica giornalismo o paragiornalismo. Insomma non c’è più l’esclusività del ruolo: molti fanno il giornalista ed altro oppure solo altro. Bisogna fare i conti con l’Intelligenza Artificiale, è la nuova frontiera, ricca di opportunità ma anche di rischi che potrebbero indebolire proprio il ruolo e la professione del giornalista del terzo millennio. L’IA non sarà l’apocalisse ma neanche una semplice moda; è qualcosa di importante che rivoluziona le fondamenta di tanti mestieri e pertanto è necessario che venga regolamentata per non fare l’errore di sottostima che è stato commesso con i social, diventati più imponenti ed invadenti di qualunque previsione socio giuridica. La rivoluzione va fatta con i contenuti non con gli involucri: ricordiamoci che la Bibbia in latino stampata da Gutenberg fu un fiasco e portò al fallimento la tipografia del geniale tedesco di Mainz; invece la stampa della Bibbia in lingua tedesca fu un boom. La IA, o meglio il LLM (Large language Model) si fonda su un prompt domanda-risposta, può non funzionare se le domande non sono corrette, nella forma o nella sostanza.
Vediamo chi sono i giornalisti italiani dell’anno 2024. Fino al 2012 gli iscritti all’ordine aumentavano ogni anno di duemila unità; nel 2020 erano complessivamente 103mila di cui 29mila professionisti e 74mila pubblicisti. Nel 2024 siamo 94mila di cui 68mila pubblicisti e 26mila professionisti.
Insomma c’è un certo ridimensionamento o forse un abbandono della professione, anche a causa della introduzione di elementi di tecnologia nuova (l’obbligo della PEC, l’utilizzo della piattaforma per la formazione etc.) indigesti alle generazioni più datate. I titolari Pec tra gli iscritti risultano essere 86mila, mentre nella piattaforma per la formazione si arriva a 70mila posizioni attive.
Il destino della carta cede inesorabilmente al digital first ma la valenza di un quotidiano si misura ancora oggi anche sulle copie vendute nelle edicole, sempre di meno ed in difficoltà evidente. La qualità fa ancora la differenza e la carta stampata può giocare su questo fattore che implica un approfondimento ulteriore rispetto ai tempi brucianti della informazione on line.
Il Consiglio nazionale dell'Ordine ha elaborato una sua proposta che ha presentato in Parlamento dove è stato avviato l’esame del testo. Un corso specifico di fine gennaio, a Roma, è partito dalle nuove linee identificate dall’Ordine per esaminare tutti gli aspetti della questione con il sindacato dei giornalisti, docenti universitari, direttori di giornali, rappresentanti dei video maker e dei freelance.
Intanto sono iniziate, a livello internazionale, le trattative degli editori con Google per patteggiare la riproducibilità dei testi. In Italia gli editori stanno pensando di muoversi o individualmente come in Francia, mostrando in tal modo di accontentarsi di una trattativa certa, immediata ma col minimo vantaggio economico; se si muovessero e contrattassero in modo compatto come in Canada ed in Australia riuscirebbero a strappare grosse cifre da ripartire con parametri obiettivi. In Canada l’accordo editori Google pare abbia fruttato 600 milioni di euro da ripartire sulla base di criteri certi ed oggettivi.
Tutto è cambiato con l’avvento dei social: prima di questa epoca il giornalista scriveva dal pulpito, quasi senza contraddittorio e le interlocuzioni e le critiche erano rare perché il lettore era passivo ed indifeso; i social hanno dato la voce a tutti, a quelli che si intendono più dei giornalisti nella varie discipline trattate, ma anche alla razza più selvaggia della società, quella che inveisce, aggredisce, minaccia, attaccando il giornalista spesso con argomenti privi di logica, di competenza e di buonsenso, spesso conditi di violenza, pressapochismo e pretestuosità. Facebook è il social più popolare che dà la voce a tutti, a quelli che volevano rincontrare i vecchi compagni di scuola ma anche a quelli che nessuno ascolterebbe mai. Twitter, ora diventato X, è l’ambito dell’elite, il cinguettio degli uomini della politica, della finanza, del mondo dell’arte, dello sport e dello spettacolo, insomma della gente che conta… i propri sostenitori. Poi c’è Instagram, la vita raccontata per immagini, senza bisogno di inutili discorsi. Una parola è poca e due son troppe…
Giornalista sinonimo di professione appagante? Non più, tranne rari e felici casi, legati alla veste imprenditoriale, alla direzione di una testata o ad un evento particolarmente fortunato nell’ambito della informazione o della comunicazione. Nella maggioranza dei casi parliamo di una classe economicamente in difficoltà: i Co.Co.Co. percepiscono intorno ai 10mila euro di media, una partita IVA fattura mediamente intorno ai 18mila euro, per non parlare dei dipendenti, retribuiti quali semplici impiegati, o dei freelance, prevalentemente ancorati a compensi molto scarsi oltre che episodici.
Quale futuro allora per il giornalista del terzo millennio? In futuro va messa in cantiere una strenua difesa del copyright, la vera barriera contro la indebita e libera riproducibilità degli scritti, che restano il prodotto di qualità del giornalista, la sua creazione, il risultato di cultura, esperienza ed impegno, mixati in un articolo, in un pezzo, come si diceva nelle redazioni. Senza essere nè tecno scettici né tecnofili, non ci sono dubbi, l’intelligenza artificiale ogni giorno bussa alla porta, anzi già è entrata in ogni dove. Se non debitamente e tempestivamente regolamentata potrà davvero creare danni irreparabili al giornalismo ed all’essere umano singolo o associato che pratica questa nobile professione. Il copyright rappresenta la più forte arma per la ricerca e la difesa della verità dei fatti, quelli raccontati da un giornalista, in qualunque ambito siano essi considerati.
E che dire dell’audience, che assilla chiunque operi in un ambito giornalistico? Quella digitale si articola in tre sezioni di lettorato: il lettore free che si accontenta di poche righe, una videata e poi fugge in altri siti; il lettore abbonato, che analizza i contenuti con più tempo e spirito critico ed è quello coccolato giustamente dagli editori; e poi ci sono i followers, da considerare non lettori, i quali si fermano all’immagine o al video per poi navigare altrove.
In tema di riforma qualcuno pensa che, in linea con l’art.21 della nostra Costituzione, anche in Italia dovremmo pensare ad una carte de press in stile francese, per accentuare la professionalità del ruolo di giornalista da affiancare, in quanto a specialità, a quella dei chirurghi, dei commercialisti, degli ingegneri, degli avvocati etc, e quindi non considerare nel novero del nuovo testo i pubblicisti, una scelta decisamente impopolare che peraltro va analizzata e valutata attentamente sotto il profilo economico visto che proprio i pubblicisti costituiscono la maggioranza degli iscritti negli Albi. Chi uscirà con le ossa rotte dall’avvento dell’intelligenza artificiale? Donne e giovani sembrano in grado di resistere grazie al multiasking femminile ed alla vocazione tecnologica tipica delle nuove generazioni, ma per le classi “adulte” potrebbe essere molto difficile restare a galla., magari con la penna in mano. In ogni caso occorrono regole serie ed appare necessario contrastare la creazione di meccanismi automatizzati acherotipi, ossia scritti senza l’intervento della mano umana.
E le nuove leve? Ogni giorno i giovani con la passione per il giornalismo, durante i colloqui per le assunzioni o nel corso di stage e master dedicati, chiedono principalmente a che ora finisca la giornata lavorativa, se il sabato si lavori o meno, i giorni di ferie e la misura della retribuzione. La risposta realistica sarebbe quella che indica in circa dieci al giorno il lavoro quotidiano del giornalista, salvo imprevisti, giornate che implicano fatica, capacità, massima attenzione ed una certa cultura di base, cui aggiungere i rischi, che ci sono, molto variabili in base ai compiti affidati ed agli incarichi ricoperti. Ne vale la pena? Il numero dei giornalisti morti nell’adempimento del loro dovere è davvero notevole e cresce in concomitanza con le guerre ed a causa della arroganza intransigente della criminalità, più o meno organizzata, che non sopporta la diffusione delle verità ad essa ostili e l’intralcio, diretto o indiretto, ai mali affari di cui si ciba.
Nel nuovo testo al vaglio parlamentare si pensa di inserire il requisito della laurea in giornalismo come attestato obbligatorio per lo svolgimento della professione, che garantirebbe requisiti culturali soddisfacenti ed una congrua preparazione nello svolgimento della quotidiana ricerca della verità dei fatti, inquadrati nelle canoniche cinque W (who, what,when , where, why) , del chi, che cosa, quando, dove, e perché. Insomma affrontare il futuro con le certezze del passato.
ORDINAMENTO DELLA PROFESSIONE DI GIORNALISTA (Testo in vigore dal 2016)
(Versione aggiornata alla Legge 198/2016 e al D.Lgs. 67/2017)