Comirap

  • Aumenta dimensione caratteri
  • Dimensione caratteri predefinita
  • Diminuisci dimensione caratteri
Home Arte cultura e tempo libero Er caffettiere filosofo e Li soprani del monno vecchio , due poesie di Giuseppe Gioacchino Belli

Er caffettiere filosofo e Li soprani del monno vecchio , due poesie di Giuseppe Gioacchino Belli

E-mail Stampa PDF

 

Riportiamo due dei 2279 sonetti composti dal poeta della romanità più verace, nato nel 1791 e morto nel 1863

La fontana monumento dedicata al Belli si trova nell'omonima piazza trasteverina

 

 

 

 

Giuseppe Francesco Antonio Maria Gioachino Raimondo Belli (Roma, 7 settembre 1791 – Roma, 21 dicembre 1863) rappresenta uno dei poeti più rappresentativi del vernacolese romanesco.

Nel “caffettiere filosofo” il poeta accomuna le sorti di ognuno di noi ai chicchi del caffè, destinati inesorabilmente a finire triturati nel macinino.

Nei “soprani del monno vecchio” merita attenzione il verso “Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo” ben noto ai cinefili perché declamata da Alberto Sordi nelle vesti del Marchese del Grillo a rappresentare la prosopopea sprezzante di questo singolare  nobile romano alla corte di papa Pio VII.

Er caffettiere filosofo

L’ommini de sto monno sò l’istesso

Che vaghi de caffè ner macinino:

C’uno prima, uno doppo, e un’antro appresso,

Tutti quanti però vanno a un distino.

Spesso muteno sito, e caccia spesso

Er vago grosso er vago piccinino,

E ss’incarzeno tutti in zu l’ingresso

Der ferro che li sfraggne in porverino.

E l’ommini accusì viveno ar monno

Misticati pe mano de la sorte

Che sse li gira tutti in tonno in tonno;

E movennose oggnuno, o ppiano, o fforte,

Senza capillo mai caleno a fonno

Pe cascà ne la gola de la morte.

 

Li soprani del monno vecchio

«Li soprani der monno vecchio

C'era una vorta un Re cche ddar palazzo

mannò ffora a li popoli st'editto:

"Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,

sori vassalli bbugiaroni, e zzitto.

Io fo ddritto lo storto e storto er ddritto:

pòzzo vénneve a ttutti a un tant'er mazzo:

Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,

ché la vita e la robba Io ve l'affitto.

Chi abbita a sto monno senza er titolo

o dde Papa, o dde Re, o dd'Imperatore,

quello nun pò avé mmai vosce in capitolo!".

Co st'editto annò er Boja per ccuriero,

interroganno tutti in zur tenore;

e arisposeno tutti: "È vvero, è vvero!".»

La fontana  monumento dedicato al  Belli.

Si trova nell’omonima piazza trasteverina e fu realizzata grazie ad una sottoscrizione popolare promossa da Domenico Gnoli, Ferdinando Martini e Leone Caetani. Nel 1910, i tre letterati proposero all’allora sindaco Ernesto Nathan di dedicare un monumento al più grande interprete dell’anima popolare della città, chiedendo la concessione dell’area al tempo chiamata “piazza Italia”. Eseguita dallo scultore siciliano Michele Tripisciano, vincitore del concorso bandito nel 1911, la fontana-monumento fu inaugurata nel maggio del 1913, in occasione del cinquantenario della morte del poeta. La statua di Belli poggia su un alto basamento, che reca, in basso, dei rilievi con la personificazione distesa del Tevere, la Lupa e i Gemelli e, sul retro, un gruppo di popolani attorno alla celebre statua parlante di “Pasquino”. Un’iscrizione recita la dedica “Al suo poeta G.G. Belli il Popolo di Roma MCMXIII".

 

Il poeta è rappresentato con cilindro e bastone da passeggio, con la mano destra appoggiata su una ricostruzione della spalletta di Ponte Fabricio, riconoscibile dalla presenza di una tipica erma quadrifronte. Ai lati del monumento, si trovano due piccole fontane gemelle, sollevate di tre gradini. Costituite da vasche in marmo con bordo modanato, ricevono acqua da due mascheroni che simboleggiano la “Poesia” e la “Satira”, poggiati su una mensola e al centro di due ampie volute.

Ricordiamo pure  i versi di “Roma capomunni”

“Nun fuss’antro pe ttante antichità

bisognerebbe nassce tutti cquì,

perché a la robba che cciavemo cquà

c’è, sor friccica mio, poco da dí”

 

Seleziona la lingua

Italian English French German Greek Portuguese Spanish