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Home Arte cultura e tempo libero Geniozia n.1 Autobus che passione! Il pacco

Geniozia n.1 Autobus che passione! Il pacco

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Un racconto tutto d’un fiato tra genialità ed idiozia. Siamo in pieno agosto a Roma e gli autobus sono pieni di turisti e dei residenti, costretti, per lavoro, per scelta o per necessità, a vivere il periodo più caldo dell’anno lontani da mare, montagna ed ogni forma di villeggiatura.

 

 

A differenza di tanti colleghi, mi ha sempre fatto piacere lavorare nel mese di agosto, non solo per la maggior vivibilità di Roma, finalmente godibile senza quei ritmi nevrotici che ne tentano di offuscarne la bellezza millenaria, ma anche e soprattutto perché quel mio impegno estivo al servizio delle istituzioni mi faceva sentire importante nella grande macchina allestita a baluardo della sicurezza della città eterna. Anche il mio quartiere in questo periodo sembrava deserto, irriconoscibile rispetto alla versione accelerata dell’inverno, ma tutto cio non valeva per via Nazionale, una strada che mantiene la sua vita quasi inalterata 365 giorni all’anno, percorsa da quel 64 che costituisce un capitolo a parte della storia dei trasporti pubblici capitolini.

Questa linea, che collega la stazione Termini alla Basilica di San Pietro, realizza una sorta di collegamento ancestrale tra mondo profano e mondo sacro, ed e da sempre affollata di turisti e borsaioli, oltre che da poliziotti in abiti civili, intenti ad impedire che queste categorie vengano “in contatto”.  Anche per un romano di sette generazioni come me, una certa attenzione non doveva mancare, “beware of pickpockets” e scritto in modo chiaro e visibile sugli autobus, ed anch’io dovevo fare attenzione agli specialisti delle due dita, capaci di trasformare un leggero sfioramento del corpo in un furto con destrezza. Quel 12 agosto, alla prima fermata di via Nazionale, la più vicina a Piazza Esedra, gia una discreta folla aspettava il mitico autobus 64, in passato inconfondibile perché l’unico a due piani in tutta la città.

All’avvicinarsi della vettura il solito movimento strategico per assicurarsi un ingresso piu celere era reso piu difficoltoso da un pacco ingombrante che una distinta signora portava con sé. Proprio quel pacco dette origine ad un  vero casus belli: molti dei passeggeri cercavano di impedire che quell’ingombrante fardello entrasse sull’autobus, mentre i più, benché infastiditi, si limitavano ad una critica silenziosa. Con ben altri toni un signore dall’accento romanesco affronto la signora, invitandola con pesanti aggettivazioni a prendere un taxi perché “con quer pacco stava a manna’ ar manicomio tutto er bus!”. Quando mi accorsi che la mortificazione di quella donna la stava per portare alle lacrime, decisi di intervenire con toni risoluti e garbati invitando tutti ad un po’ piu di moderazione e di disponibilità. Al di la delle piu rosee aspettative il mio intervento produsse effetti straordinari e la situazione si acquieto quasi all’istante.

Mentre la signora mi ringraziava per l’aiuto ricevuto l’autobus raggiungeva la fermata successiva, in corrispondenza della quale tento di salire un’altra folla di passeggeri, compresi alcuni immigrati di colore con tanto di borsoni ed un manipolo di giovani zingarelle accompagnate da una giunonica donna rom tutta seno e monili d’oro. L’anziana signora, sudata, visibilmente prossima al collasso, con un filo di voce, mi chiese se potevo tenerle il pacco. “Ci mancava pure questa”, fu il mio primo pensiero, prontamente sostituito da un più cristiano “non si preoccupi, signora”, che mi avrebbe garantito punti pesanti in conto beatificazione.

Giunto davanti al bar di Piazza Venezia, il 64 si svuoto di circa la meta del suo carico di bagaglio umano, di pensieri, di delusioni e di speranze quotidiane. A quel punto tutto l’umanità trasportata sul bus cittadino prese a recuperare dignità fisica, estetica e comportamentale. Questa quiete dopo la tempesta fu interrotta dal contemporaneo apparire, sulla vettura, di tre giovani controllori dell’ATAC, che, con garbo deciso, chiesero a tutti biglietti o tessera. Quando fu il mio turno, mostrai la tessera al giovane ispettore che con un sorriso mi chiese il biglietto per il pacco, in quanto di misura tale da dover essere pagato come un normale passeggero. Con tranquillità osservai che il pacco apparteneva a quella signora non tanto distante da me. Questa, inaspettatamente, nego le mie affermazioni, scatenando la mia reazione, che non fu creduta neppure dai presenti, ai quali chiedevo un consenso su quanto accaduto. Imbestialito, incredulo, mi qualificai, nel tentativo di convincere i controllori della mia buona fede; decisi di chiudere la faccenda pagando la sanzione, allorché mi accorsi di non avere più né portafogli né documenti.

La situazione si era fatta inverosimile, kafkiana; ispettori e passeggeri pensavano probabilmente di assistere ad una rappresentazione teatrale “matine” nella quale un misero individuo, pur di non pagare il biglietto per quel pacco enorme, si mostrava pronto ad attaccare tutti, anziana signora inclusa e ad inventare perfino la storia del furto dei documenti Costretto a scendere dalla vettura, insieme a quel maledetto pacco, riuscii a spiegare l’intera vicenda e comunque a rassicurare il terzetto sulla affidabilità della mia persona, confermata via cellulare da un mio collega, sicuramente divertito dalla situazione. Facendo uno sforzo non indifferente presi a dirigermi verso la mia sede di lavoro. Indeciso se chiedere rinforzi a qualche collega, sentii una voce che chiamava “signore, signore”. Mi voltai e mi trovai di fronte quello che non avrei mai immaginato di vedere: la signora del pacco! Stavo per assalirla con una serie di ingiurie, quando, in preda ad un’ultima opzione di santita, ascoltai pazientemente le spiegazioni fornitemi da quello strano personaggio che diceva di essere vittima di una rarissima malattia dalla quale soltanto quel pacco poteva salvarla. Ero oramai convinto di avere di fronte una pazza, cosi ripresi la mia strada e soprattutto il pacco. Ma non era finita; la donna, avventandosi come una furia sul pacco, prese ad urlare come un ossesso “ladro, ladro”. Risposi al suo impeto con uno, due, tre, strattoni violenti per recuperare quel pacco che in definitiva consideravo mio quasi di diritto. Continuando ad urlare, la donna rimaneva aggrappata al pacco ed allora detti un ulteriore poderoso scossone che squarcio letteralmente il pacco di fronte alla piccola folla di curiosi che assisteva alla scena, facendo fuoriuscire tutto quello che nessuno al mondo avrebbe mai pensato potesse contenere, ossia…………tutte le cavolate che vi ho raccontato.

 

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