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Home La cucina di Rita "Amatriciana …dentro". Turbanti di pasta ripieni di amatriciana

"Amatriciana …dentro". Turbanti di pasta ripieni di amatriciana

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All’inizio era “gricia”: spaghetti, guanciale e pecorino, una ricetta semplice e veloce da realizzare, di chiara origine pastorale. Secondo alcuni, tale nome deriva da Grisciano, piccola frazione di Accumoli, vicino Amatrice. È solo dopo il 1800 che, in un’opera del romano Francesco Leonardi, troviamo l’aggiunta del pomodoro, con la nascita ufficiale della amatriciana (o matriciana nella parlata romana che spesso elimina una vocale o una sillaba all’inizio della parola).

 

 

 

 

Ingredienti per 5 persone

 

per la pasta:

300 gr di farina

3 uova

Sale

 

per la farcia:

500 gr di polpa di pomodoro
100 gr di cipolla bianca
250 gr di guanciale
150 gr di pecorino romano
3-4 cucchiai di olio evo
sale
pepe

Aceto

 

Per la decorazione:

200 gr guanciale tagliato a julienne

Pecorino grattugiato

 

Per la fonduta di pecorino:

100 gr pecorino

Latte

Un cucchiaino di amido di mais

 

Tempo: 45 minuti + il tempo per la pasta all’uovo

Modo di cottura: fornello, forno.

 

Ripieno:

tagliare il guanciale a brunoise, e rosolarlo in padella senza olio, sfumare con l’aceto e proseguire fino farlo diventare croccante, facendo attenzione a non bruciarlo.

Sbucciare e tritare la cipolla. Scaldare l’olio in una pentola larga e bassa e far rosolare la cipolla.

Una volta diventata traslucida (eventualmente aggiungere un po’ di acqua) unire la polpa di pomodoro e farla cuocere per una ventina di minuti, fino a ridurla alla metà.

Quando sarà cotta, aggiungere il guanciale croccante, il pecorino grattugiato, aggiustare di sale e pepe.

Prima di iniziare la preparazione dei turbantini sarebbe preferibile lasciare riposare la farcia una notte in frigorifero.

Sfoglia:

versare sul tavolo a fontana la farina, aggiungere al centro le uova, il sale e iniziare a impastare a mano partendo dal centro o con l’impastatrice.

Lavorare l’impasto per una decina di minuti, formare una palla, avvolgere con la pellicola e lasciarlo riposare per 30 minuti.

Prelevare una parte dell’impasto e iniziare a stendere, aiutandosi con un po’ di farina, se serve. La sfoglia deve esse abbastanza sottile, di 2-3 mm circa.

Tagliare la sfoglia a quadrati di 12 cm. e scottarli in acqua bollente, scolarli e metterli in una ciotola con acqua ghiacciata. Scolare e far asciugare su uno strofinaccio.

Oleare 5 stampini di alluminio, foderarli con le sfoglie di pasta, passate prima da ambo le parti nel pecorino grattugiato, lasciandole sbordare abbondantemente. Riempire con il ripieno e chiudere a fagottino. Distribuire sopra ancora pochissimo pecorino grattugiato. Infornare a 200° per circa 7/8 minuti, finchè cominciano a dorarsi.

Velare un piatto con la fonduta di pecorino (che si prepara, sciogliendo il pecorino grattugiato con un cucchiaino di amido di mais nel latte caldo), disporvi i turbantini e decorare con guanciale tagliato a julienne croccante e un po’ di pecorino grattugiato.

 

Un po’di storia…Pasta all’Amatriciana.

Amatriciana deriva dal nome della città in cui nasce questo tipo di pasta, Amatrice; ma la transumanza di questi pastori verso la campagna romana, favorì la trasmissione della loro tradizione gastronomica. Bisogna precisare che, benché Amatrice sia attualmente un comune del Lazio, la ricetta dovrebbe essere considerata abruzzese. La tesi è avvalorata da diversi gastronomi e scrittori di fama internazionale come Pellegrino Artusi, Luigi Carnicina, Luigi Veronelli, Vincenzo Buonassisi, Luigi Volpicelli e Giorgio Gosetti. Secondo quest’ultimo, «La cittadina nel 1861 venne a far parte della regione degli Abruzzi del Regno d’Italia, e fu poi annessa al Lazio nel 1927, in occasione della creazione della Provincia di Rieti. L’Amatriciana sarebbe quindi – a rigor di logica – un piatto della cucina abruzzese trasmigrato in quella laziale».

 

Il guanciale.

Il guanciale è una specialità dei comuni di Amatrice e Accumoli in provincia di Rieti, e di Campotosto in provincia dell'Aquila.

È un salume che si ottiene, appunto, dalla guancia del maiale che contiene una parte di magro – costituita dai muscoli, che formano le caratteristiche venature – e grassi il cui pregio è decisamente superiore a quelli che troviamo nella pancetta (ricavata dal ventre) o nel lardo (ricavato dal dorso), ottenendo il tradizionale pezzo di forma triangolare. Per rendere il guanciale amatriciano saporito al punto giusto e leggermente piccante, la lavorazione dura almeno tre mesi, prevede salatura, impepatura, e stagionatura, importante l'affumicatura a legna che lo rende inimitabile.

Al momento di tagliare il guanciale si deve presentare molto compatto, con colorito bianco per la parte grassa e rosso vivo per la magra.

Con delibera 27/2015, il Comune di Amatrice ha formalizzato le ricette, sia della versione bianca, sia della versione rossa, in un Disciplinare di produzione De.CO. (denominazione comunale). Come chiaramente indicato nel disciplinare, non sono previsti né aglio né cipolla. Inoltre il Comune di Amatrice, col pieno supporto della Regione Lazio, nel 2015 ha iniziato il percorso, volto a ottenere il prestigioso riconoscimento europeo STG (specialità tradizionale garantita) della salsa, per un'ulteriore tutela dell'originalità della ricetta.

 

Il pecorino romano

La storia del Pecorino Romano ha origini millenarie. Già gli antichi romani apprezzavano il Pecorino Romano, nei palazzi imperiali era considerato il giusto condimento durante i banchetti. Originario dell'Agro Romano è descritto dettagliatamente nelle opere di molti autori dell'Antica Roma come Plinio il Vecchio, Marco Terenzio Varrone.

Già nel 48 A.C Virgilio descrivendone le proprietà nutritive racconta che il consumo giornaliero imposto ad ogni soldato romano era di 27 grammi al giorno. La razione integrava il pasto base, la zuppa di farro, fornendo loro la giusta dose di energia per affrontare le battaglie e i continui spostamenti. Ai giorni nostri, la produzione del Pecorino Romano Dop, nonostante la storia e il nome lo leghino al territorio laziale, avviene prevalentemente in Sardegna, terra di antichissima tradizione agro-pastorale. Tale lavorazione venne introdotta dopo il 1884, anno in cui il sindaco di Roma introdusse il divieto di salagione del formaggio all'interno della città. Questo fatto costrinse molti casari romani a spostare la produzione nell'isola.

Nel 1979, per volontà di un gruppo di operatori del Lazio e della Sardegna, venne istituito il Consorzio per la Tutela del Formaggio Pecorino Romano avente sede a Macomer, il quale nel 1981 ottenne dal Ministero dell'Agricoltura l'affidamento dell'incarico di vigilanza sulla produzione e sul commercio, e nel 2002 quello per la tutela della DOP (denominazione assegnata al Pecorino Romano dal 1996).

È un formaggio nutriente, genuino, ricco di proteine e di facile digeribilità. La crosta sottile color avorio o paglierino, può essere naturale o cappata nera, simbolo della tradizione romana. La pasta è dura e compatta o leggermente occhiata e il suo colore varia dal bianco al paglierino. Il gusto è aromatico, leggermente piccante e sapido nel formaggio da tavola, piccante intenso con sapidità variabili nel formaggio da grattugia. Il periodo di stagionatura è di almeno 5 mesi per il Pecorino Romano da tavola e 8 mesi per quello da grattugia. Le forme sono cilindriche con un peso che può variare dai 20 kg ed i 35 kg. Sullo scalzo viene impresso il marchio all’origine, costituito da un rombo con angoli arrotondati contenente al suo interno la testa stilizzata di una pecora con la dicitura Pecorino Romano.

 

Ultimo aggiornamento Mercoledì 31 Luglio 2019 16:45