Si può dare il meglio di se stessi in un ambiente di lavoro che premia i "segnalati", gli "apparentati", "i politicizzati", spesso incapaci, inadeguati ed incapaci? Guardatevi intorno e datevi una risposta!
In Francia sembra ormai al tramonto il mito dei workalcoholics, gli intossicati dell’ufficio, i nemici della domenica, i disperati della scrivania, se risulta ancora apprezzato quello che è considerato un vero e proprio manuale per gli scansafatiche, una guida per sopravvivere all’ufficio ed ottenere il massimo del risultato con il minimo dell’impegno. Si tratta del libro cult della accidia aziendale, Bonjour paresse” – “buongiorno pigrizia”, una pubblicazione per impiegati di ogni livello, età e cultura, conosciuto oramai nei mercati di mezzo mondo. In effetti gran parte delle tematiche, degli entusiasmi, delle delusioni e delle stranezze del rapporto tra l’essere umano con l’ambiente di lavoro sono le stesse in ogni latitudine del pianeta e sono soprattutto accomunabili da un elemento psico-fisico e comportamentale presente ovunque, ossia la strategia di sopravvivenza in un habitat artificiale quasi mai definibile “ a misura d’uomo”.
Talune assurdità raccontate nel libro della Maier inducono inevitabilmente molti lettori (e ancor più lettrici) a dire il fatidico “ma questo e quello che avviene esattamente nel mio ufficio, comprese le promozioni ed i trasferimenti più illogici del mondo”. Gli integralisti della pigrizia, i sedentari h-24, gli scansafatiche da Guiness, gli antistakanovisti d’origine controllata, hanno tributato un consenso completo a questa specie di “esslet”, una via di mezzo tra un saggio (essay) ed un pamphlet, caratterizzato da contenuti diretti e senza fronzoli, che certamente non fanno felici i vertici delle aziende pubbliche e private d’Oltralpe, messi alla berlina. E c’è da giurare che feroci dissensi e ed incontrollati entusiasmi si propaghino a breve in tutta Europa, per poi contaminare anche i travet d’oltreoceano.
L’euroimpiegato del ventunesimo secolo sarà certo incuriosito di conoscere il decalogo della nuova poetessa dell’antilavoro che in modo diretto e frontale ti dice 1) Non c’è modo di realizzarsi in questo tipo di struttura lavorativa; 2) E’ impossibile cambiare il sistema; 3) Quello che si fa non ha in verità una grande rilevanza; 4) Accettare nuove responsabilità significa solo complicarsi la vita; 5) Le posizioni più basse della gerarchia lavorativa consentono una maggiore libertà di vita; 6)Non vanno avanti i più meritevoli ma i più segnalati ed apparentati ; 7) Lo stipendio a fine mese è l’unica cosa che effettivamente conta; 8) Punta a collocarti al posto giusto, poi si possono tirare i remi in barca; 9) Gli unici che lavorano sodo sono quelli con il contratto a termine; 10) Convinciti che l’organizzazione aziendale che scandisce i tuoi comportamenti lavorativi è imperfetta e non può durare in eterno.
Verità mezze-verità, assiomi o esagerazioni, sarà ogni lettore a giudicare i comandamenti per i lavoratori “dipendenti” di nuova generazione, ma una verità inconfutabile e quella che un dipendente sia in grado di dare il meglio di sé stesso quando è considerato, motivato, quando l’ambiente di lavoro – persone ed organizzazione – gli consentono di svolgere la propria attività in un clima di serena convivenza, quando l’uomo-lavoratore si sente parte vitale (o addirittura preziosa) del sistema, quando il lavoro offre spazio alla creatività ed al libero fuoriuscire delle personali vocazioni, quando il datore di lavoro o la semplice gerarchia non ti opprimono ……ma, sempre parafrasando la Sagan, ci accorgiamo che forse dal “bonjour paresse” stiamo scivolando verso un “bonjour utopie”.