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Home Solidarietà Il decalogo delle espressioni da bandire nei resoconti giornalistici su femminicidi, stupri, moleste ed altri soprusi a danno delle donne

Il decalogo delle espressioni da bandire nei resoconti giornalistici su femminicidi, stupri, moleste ed altri soprusi a danno delle donne

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Anche la stampa cambia registro per avviare un nuovo approccio nel rapporto tra Informazione e violenza di genere. Il video decalogo realizzato dalle più grosse organizzazioni di cronisti - il Sindacato cronisti romani (Scr) e il Gruppo cronisti lombardi (Gcl) -

E’ necessario ed urgente un linguaggio realmente rispettoso e consapevole, che rimuova una volta per sempre etichette, luoghi comuni, pregiudizi e stereotipi maschilisti e patriarcali, nell’ottica di una svolta epocale per una crescita civile e fornire  un contributo alla battaglia contro  la piaga dei femminicidi.

A dare sostanza a questo intento ci hanno pensato le due maggiori organizzazioni di cronisti - il Sindacato cronisti romani (Scr) e il Gruppo cronisti lombardi (Gcl) - annunciando l'adesione alla Giornata internazionale contro la violenza sulla donna del 25 novembre 2023 e lanciando un video-decalogo contenente alcune delle principali espressioni da bandire nei resoconti giornalistici su femminicidi, stupri, molestie e ogni altro genere di soprusi.

 

Lo si può scaricare al link: https://bit.ly/3Gf59Ps

Il decalogo - che si pone in linea con il Manifesto di Venezia, varato nel 2017, su come raccontare la violenza di genere - contiene le espressioni usate con maggiore frequenza da stampa ed emittenti radio-radiotelevisive, che di fatto forniscono alibi o indiretta giustificazione all'autore di un femminicidio: si va dall’abusato  "in preda a un raptus" (locuzione fuorviante, in quanto esclude la premeditazione) ad "amore criminale" (un ossimoro inaccettabile perché chi uccide non ama); da espressioni come "delitto passionale" e "accecato dalla gelosia" (il piano sentimentale non deve diventare esimente), alle varie qualificazioni della vittima ("estroversa", "vivace", ecc.) e alle sue attività precedenti l'evento ("aveva bevuto", "passeggiava da sola", ecc.), spesso utilizzate in seguito dalla difesa a fini processuali, fino all'uso pleonastico degli aggettivi possessivi ("la sua fidanzata", "sua moglie").

Quello che è ormai conosciuto come “Manifesto di Venezia” raccoglie una serie di raccomandazioni su come raccontare il dramma della violenza sulle donne. Un impegno in prima persona nel promuovere un linguaggio rispettoso della persona e della parità di genere.

Il documento richiama la Convenzione di Istanbul, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa nel 2011 e recepita dall’Italia nel 2013, che condanna «ogni forma di violenza sulle donne e la violenza domestica» e riconosce come il raggiungimento dell’uguaglianza sia un elemento chiave per prevenire la violenza.

Il video-decalogo

 

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