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Home Qui Viminale Pagina di diario: luglio 2007, conferenza del Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso alla Scuola Superiore Amministrazione Interno. Le strategie globali di contrasto alla criminalità organizzata italiana e straniera di Alberto Bordi

Pagina di diario: luglio 2007, conferenza del Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso alla Scuola Superiore Amministrazione Interno. Le strategie globali di contrasto alla criminalità organizzata italiana e straniera di Alberto Bordi

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Il Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso  traccia la storia di Cosa Nostra, ripercorre la legislazione sul tema, ricorda le geniali intuizioni di Falcone e Borsellino, cita il collaborazionismo dei pentiti, parla dell’eterno scontro tra “esplosivo e codici”

 

 Prima di arrivare nel 1999 a Palermo, al posto di Caselli,  Pietro Grasso è stato Procuratore Aggiunto della Direzione Nazionale antimafia, consulente della Commissione antimafia, consigliere al ministero di Grazia e Giustizia, titolare dell’inchiesta sull’omicidio di Pier Santi Mattarella, giudice del primo maxi-processo a Cosa Nostra: questi, alcuni tratti di un curriculum che il direttore della Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno non ha esitato a definire “non riposante”, all’atto di presentare la conferenza del Procuratore Nazionale Antimafia, Pietro Grasso.

Il nemico numero uno della cultura mafiosa, che ha  curato per la Feltrinelli Editore, insieme a Francesco La Licata, un libro emblematico delle sue conoscenze in termini di criminalità organizzata in Sicilia, dal titolo "Pizzini, Veleni e Cicoria. La Mafia prima e dopo Provenzano", dopo un breve saluto alle autorità ed ai tanti rappresentanti delle forze dell’ordine presenti alla S.S.A.I. nel trascorso luglio 2007, prima di calarsi nel tema da dibattere, ha voluto ringraziare i prefetti che da anni collaborano con grande impegno su questo fronte e sono al centro di tutte le azioni dello Stato volte contrastare la criminalità organizzata, mafiosa e non. “Il prefetto” – ha aggiunto Grasso – “è una sorta di prezzemolo presente in tutte le problematiche difficili da risolvere”.

Quali le strategie globali per combattere la criminalità nazionale ed internazionale? Questo il tema centrale del dibattito che il Procuratore Pietro Grasso ha reso da subito vivace parlando della mafia non come una piovra dai mille tentacoli, né come un cancro, ma definendola né una bestia né una malattia incurabile, bensì come una precisa organizzazione che intraprende rapporti “d’affari” con la finanza, l’economia, le istituzioni ed altro ancora. Per fronteggiare tale organizzazione è chiaro che sia necessario fare analisi, sequestrare e confiscare i beni, distruggere le sue alleanze, romperne i traffici. Le stragi di cui si è macchiata Cosa Nostra sono di tipo eversivo, hanno ucciso magistrati, poliziotti, politici, giornalisti, segno tipico di un potere totalitario. Ripercorrendo la storia della nostra legislazione, Grasso ricorda che nel 1980 c’è un mutamento della strategia dello Stato: si configura come reato la semplice appartenenza alla mafia, si prescinde dall’aver commesso reati tipici; è una prima svolta ma è una strategia appena abbozzata, non si colpiscono i mandanti, non si indaga sui rapporti tra criminalità organizzata e politici.

E’ la legge Rognoni-La Torre del 1982, anno in cui avvengono le uccisioni di La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, a dare una prima risposta importante al fenomeno mafioso ma non ne ferma la spirale di sangue che ne costituisce uno dei tratti dominanti. Il vero salto di qualità si avrà solo con la intuizione di utilizzare la collaborazione dei “pentiti”: Buscetta, primo collaboratore di giustizia, permette in realtà di conoscere la struttura verticistica dell’organizzazione; nel 1986 arrivano risultati importanti nella lotta alla delinquenza mafiosa: il maxiprocesso, in cui lo stesso Grasso è giudice a latere, riguarda ben 476 imputati e si conclude con la condanna complessiva a centinaia di anni di carcere. La nuova strategia diventa poi legge e la mafia accusa il colpo reagendo con le stragi dei giudici Falcone e Borsellino prima, e poi con gli attentati a Roma, Firenze e Milano. “Sono a confronto esplosivo e codice”.

Di fronte ad una struttura malavitosa unica ed impenetrabile come la mafia, la strategia dei pentiti introduce una disciplina premiale per chi collabora in modo concreto con la giustizia, che ha il merito di non stravolgere il nostro ordinamento di garanzia dell’imputato (in dubio pro reo). La legislazione dei primi anni novanta inasprisce inoltre le pene per i reati di mafia, introduce divieti di benefici ai detenuti, dei quali si aggravano le condizioni di vita in ambito carcerario attraverso l’applicazione del famoso “41 bis”, anche se non si è di fronte a pratiche particolarmente afflittive come ritenuto erroneamente da qualcuno. In effetti si tratta della applicazione di misure finalizzate ad isolare i condannati, a far diminuire i colloqui, ad impedire sostanzialmente che dai luoghi di pena i boss possano impartire ancora direttive agli affiliati dei clan mafiosi.

”Buscetta all’Ucciardone era al grand hotel, mentre in infermeria c’erano feste e banchetti con aragosta e champagne”; questo non si poteva ammettere.”

Il Procuratore Antimafia ha poi ricordato la storia e talune dichiarazioni del primo pentito di mafia della storia italiana, Buscetta, anno 1984, sottolineando come la disciplina sulla collaborazione e sulla correlata tutela dei pentiti fosse contenuta in una legge del 1991, la n.82. Quei sette anni di impegno e di difficoltà erano una chiara testimonianza della riluttanza di politici e di larga parte dell’ opinione pubblica a vedere affidati i processi penali a criminali, seppur pentiti. Lapidario il commento di Grasso sul punto: l’applicazione era delicata, fuor di ogni dubbio, esattamente come quando si ha in mano un bisturi, che può essere strumento prezioso, rimuovendo il male, ma può essere anche pericoloso,, in ogni caso rompere l’omertà mafiosa era troppo importante, conoscere “la cupola” era fondamentale, capire gli intrecci poteva portare a successi prima d’allora impensabili.

Non va trascurato che la chiave di lettura di un omicidio di mafia non è mai semplice in quanto il killer spesso non conosce la vittima e neppure il movente, lui si limita ad eseguire, e basta. Il nesso che lega mandante, omicida materiale e vittima è nel movente ed è difficile anche per RIS e Polizia scientifica venire a capo di atti criminali, nonostante le indubbie professionalità tecniche di cui oramai dispongono le nostre forze dell’ordine. Davanti ad una assemblea particolarmente attenta, praticamente assorta a non perdere una parola di una lezione estemporanea sulla mafia, Grasso ricorda che il metodo basato sui collaboratori funziona e ha dato significativi risultati, al punto che la mafia, oramai destabilizzata grazie a sospetti e sfiducie interne all’organizzazione, cerca di reagire a questa vulnus inferta al suo mondo blindato e tenta la cosiddetta “strategia del figliol prodigo”, ossia cerca di convincere il pentito ad un doppio pentimento, a tornare indietro, anzi a creare contraddizioni che mettano in crisi il processo e le teorie accusatorie dei procuratori. Per fortuna questa controffensiva non produce risultati. Alle critiche di eccessiva attenzione, in termini di benefici ai mafiosi pentiti, Grasso risponde che in altri Paesi, per situazioni di questo tipo, viene accordata l’impunità, mentre da noi non ci sono riduzioni di pena. Oltre alle collaborazioni di giustizia, un secondo metodo, nella strategia globale contro Cosa Nostra, è rappresentato dalle intercettazioni telefoniche, ed ambientali in particolare (captazione dei discorsi delle persone mentre parlano). L’unione di questi due elementi permette di fare indagini, di avere riscontri, di creare prove valide da utilizzare davanti ai giudici. Una terza strategia consiste nel ritardare volutamente taluni arresti dei cosiddetti pesci piccoli, della manovalanza, per poter arrivare ai vertici, alle menti che decidono. In uso anche la tecnica di infiltrazione di agenti sotto copertura, sfruttando la necessità che ha la criminalità organizzata di rivolgersi a specialisti in tutti i sensi, dai raffinatori di droga agli esperti di finanza, ma è una tecnica rischiosa e difficile perché gli affiliati di norma si conoscono da generazioni. Quarta strategia: colpire i mafiosi nelle tasche, negli affari, nelle rendite. In realtà sostituire persone dell’organizzazione mafiosa finite in carcere non è raro né difficile e comporta tempi piuttosto rapidi, mentre sostituire le ricchezze non è facile ed impone tempi e procedure più complesse, anche grazie alla disciplina introdotta sulla confisca dei beni mafiosi (articolo 12 Sexies), rivelatasi particolarmente efficace, anche perché raramente gli imputati sono in grado di dimostrare la provenienza lecita dei loro averi.

Anche la normativa antiriciclaggio ha dato i suoi frutti come anche gli scioglimenti delle amministrazioni comunali in cui è stata accertata l’infiltrazione di stampo mafioso, anche se la legislazione in materia, ad avviso del “superprocuratore”, dovrebbe essere cambiata perché è cambiata completamente la struttura e l’organizzazione dell’ente locale, ove è cresciuto a dismisura il potere del sindaco. Per quanto attiene alle sanzioni per il voto di scambio, per le manipolazioni delle consultazioni elettorali, ed alle connessioni con il macrocosmo mafioso, è di tutta evidenza come il problema sia nella prova della “dazione del denaro”, momento difficile da fotografare giuridicamente perché divenga poi prova processuale inattaccabile. E mentre si ipotizza la creazione di nuove forze specializzate di polizia giudiziaria l’avvicinamento tra fattispecie di stampo mafioso ed azioni di tipo terroristico risulta una realtà conclamata. Come si muove la macchina antagonista alla criminalità mafiosa? La felice intuizione di un pool anticrimine, precisa Grasso, ha i suoi padri in Chinnici, Falcone e Borsellino, tutti uccisi; e promotori di una strategia globale: da quel momento si lavora su relazioni e soggetti, si ricostruisce un mosaico della criminalità organizzata, le direzioni distrettuali antimafia sono coordinate dalla procura nazionale antimafia, che non è una superprocura – sottolinea in modo deciso il procuratore – infatti non fa indagini, anche se dà impulso e coordina le attività, utilizzando una banca dati che rappresenta il vero fiore all’occhiello dell’attività antimafia in Italia. Oggi la mafia ha assunto un ruolo transnazionale, siamo alla globalizzazione anche della criminalità; è accertata una saldatura operativa tra mafia siciliana e mafia colombiana, la quale necessita di riciclare i capitali provenienti dalla vendita di stupefacenti. Nuove mafie si muovono nel centro-nord d’Italia, ove non sono radicate le mafie nostrane, e questo territorio è ambito da Albanesi che si occupano dello stoccaggio delle droghe provenienti da sud America e Pakistan. Anche la mafia nigeriana, a dispetto di quanto in genere si creda, ha una sua precisa organizzazione, con regole, codici, perfino un inno, una cassa comune e un “butcher” che commina punizioni corporali a chi sbaglia. Per capire l’entità del fenomeno è sufficiente ricordare come, in coincidenza con il crollo del muro di Berlino, un esponente della mafia siciliana “ordinasse” al suo interlocutore russo, di acquistare nella Germania dell’est alberghi, ristoranti, discoteche.

Intanto nuovi scenari inquietanti si profilano all’orizzonte, caratterizzati dal perverso intreccio tra crimine organizzato e terrorismo, e non a caso le sentenze sulle stragi del 1993 sottolineavano il carattere eversivo delle azioni poste in essere, né è un mistero che l’ETA spagnola abbia scambiato cocaina con armi della camorra nostrana provenienti da paesi dell’est. La risposta dell’Europa, soprattutto dopo l’attentato di Madrid dell’11 marzo 2004, è stata la istituzione di organismi collegati, in pratica la realizzazione di alleanze sinergiche tra le varie forze di polizia degli Stati membri per fronteggiare le alleanze criminali transnazionali, in definitiva la questione si sposta necessariamente in ambiti di politica internazionale ed alcuni Paesi del vecchio continente presentano livelli di corruzione piuttosto alti che mettono a rischio gli esiti della strategia globale antimafia. Al termine della disamina sulle strategie globali di contrasto alla criminalità organizzata italiana e straniera il Procuratore Grasso si è prestato rispondere ad alcune domande formulate dai dirigenti prefettizi presenti ed ha evidenziato come spesso i benefici processuali sommati a quelli ottenuti in ambito detentivo, portino ad una riduzione consistente delle pene inflitte, con il conseguente venir meno del loro effetto deterrente. Si parla anche dei paradisi fiscali, dell’atollo di Nauru, che sebbene più piccolo della Città del Vaticano, vanta rimesse miliardarie da ogni angolo del mondo. Non sono infine mancate valutazioni de iure condendo, come ad esempio sul tema del riciclaggio, che dovrebbe essere considerato dagli ordinamenti come una attività da sanzionare in modo autonomo e non come reato correlato. Al termine del suo lungo ed applauditissimo intervento il Procuratore Nazionale Antimafia ha voluto ringraziare l’intera assemblea dei presenti per la particolare attenzione dedicata alle sue parole…….nè poteva essere altrimenti.

 

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