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Home Arte cultura e tempo libero Una ricetta per riscoprire Pellegrino Artusi , lo studioso che unificò la cucina italiana . Rita Calvo

Una ricetta per riscoprire Pellegrino Artusi , lo studioso che unificò la cucina italiana . Rita Calvo

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 Tortino di Petonciani  - Ricetta n. 399 del libro “Scienza in cucina e l’arte di mangiare bene” del 1891

 

Pellegrino Artusi è l’autore della “Scienza in cucina e l’arte di mangiare bene-Manuale pratico per le famiglie” del 1891, libro che si trova in quasi tutte le case. In tempi lontani dalla civiltà televisiva divenne il simbolo della buona ricetta, al punto da diventare solo e semplicemente “L’Artusi”, talmente Artusi da farsi ricordare in questo modo e basta, piuttosto che per il titolo della sua opera. A questa straordinaria figura va riconosciuto il merito di aver posto le fondamenta dell’identità nazionale gastronomica, contribuendo fortemente a rendere unitaria quella che oggi viene chiamata la cucina italiana. In Francia, già nel ‘600, la cucina di corte era il modello dei ricettari di tutto il paese. Prima dell’Artusi, il nostro patrimonio culinario era un assommarsi di tante cucine locali, non esisteva un patrimonio di ricette condiviso, così come non esistevano un unico Stato ed un’unica lingua. Le ricette erano trasmesse a voce e in dialetto. Questo è stato il primo tentativo riuscito di codifica della cucina regionale italiana.

Piero Camporesi, storico, disse che “l’opera di Artusi ha fatto per l’unificazione nazionale più di quanto non siano riusciti a fare i Promessi Sposi”e affermò che assieme a Pinocchio ed al libro Cuore è uno dei capisaldi della cultura italiana dell’800.

 

Pellegrino Artusi nacque a Forlimpopoli nel 1820 e morì a Firenze nel 1911, alla veneranda età di 91 anni. Figlio di un commerciante di spezie, in una famiglia numerosa con 12 fratelli, compì gli studi in seminario nel forlivese, dopodichè si occupò degli affari paterni.

Ma la vita della famiglia Artusi, venne segnata per sempre dall’incursione, nel gennaio del 1851, del brigante Stefano Pelloni detto il Passatore (soprannome derivante dal mestiere di traghettatore o passatore sul fiume esercitato dal padre) o secondo la definizione del Pascoli, “il passator cortese” (che nella poesia Romagna idealizzò la sua figura evocandolo, appunto, come il Passator Cortese), perchè a volte la popolazione più povera veniva ricompensata con i proventi dei suoi furti e rapine. Furono queste elargizioni che contribuirono a creare la sua fama di "Robin Hood" romagnolo. Una curiosità: sembrerebbe che Stefano Pelloni sia antenato di Raffaella Carrà (Raffaella Roberta Pelloni).

La banda del Passatore prese in ostaggio, nel teatro della città, tutte le famiglie più in vista, rapinandole una ad una e fra le famiglie rapinate ci fu anche quella di Pellegrino Artusi. Terminata la raccolta del bottino, i banditi stuprarono alcune donne, tra cui la sorella di Pellegrino, Gertrude, che impazzì per lo shock e fu ricoverata in manicomio. L’anno dopo tutta la famiglia si trasferì a Firenze e Artusi si dedicò all’attività commerciale sviluppando contemporaneamente due passioni, la letteratura e la cucina. Una volta sposate le sorelle e morti i genitori, fu in grado di vivere di rendita continuando la sua esistenza a Firenze da celibe e con un domestico e una cuoca toscana Marietta. Morì nel capoluogo toscano nel 1911.

 

Le opere di Artusi furono tre, due saggi di critica letteraria pubblicati a sue spese: una biografia di Foscolo e una critica a 30 lettere di G.Giusti, che passarono completamente sotto silenzio, e un manuale di cucina, sempre pubblicato a sue spese, 1^ed. 1000 copie.

Aiutato dalla coppia domestico-cuoca, che alla sua morte ereditarono i diritti del libro, A. si mise a provare quelle ricette raccolte in giro per l’Italia, con qualche escursione fuori dai confini nazionali.

Piatti della cucina casalinga, rustica o borghese, ma sempre di facile esecuzione, tali che ancora oggi- magari evitando certi abusi di grassi animali inattuali nella nostra civiltà delle diete- possiamo comodamente replicare. A quell’epoca l’olio era pressoché sconosciuto o un lusso. A Pellegrino l’immane quantità di cibi assaggiati non hanno fatto certo male. Il suo stile di vita – che oggi farebbe inorridire un dieto-palestrato, lo ha portato a vivere fino a 90 anni.

Non si tratta di un semplice ricettario, ma di un compendio di informazioni, proverbi,aneddoti raccolti in tutta Italia. Di solito i libri di ricette si consultano,il libro dell’A. si legge.

Nel suo manuale , A. dice che “basta che si sappia tenere un mestolo in mano che qualcosa si annaspa”, si basa soprattutto sulla tradizione gastronomica emiliano-romagnola e tosco-fiorentina, la cucina delle altre regioni è presente in maniera minore. La cucina dell’A. è essenzialmente borghese, descritta da un borghese e rivolta ad altri borghesi.

Il libro mostra chiaramente tutti i suoi anni, a partire dalla lingua. Ci separano cento anni, un secolo in cui l’Italia è passata dalla fame alle diete, dalla gioia serena di mangiare alla paura di nutrirsi troppo e male. Troviamo, infatti, termini come carnesecca=pancetta di maiale, cazzeruola, cignale=cinghiale, peoci=cozze, lacerto=controgirello. Ma soprattutto usa la tecnologia gastronomica del tempo, che richiede l’uso del forno di campagna, della lunetta, dello staccio, e spiega anche come conservare il brodo in estate facendolo bollire ogni giorno.

Nel 1891 pubblicò a sue spese 475 piatti accompagnati da aneddoti e riflessioni.

All’inizio fu un flop.

E’lo stesso A. a raccontarci le peripezie della sua opera nell’introduzione che intitolò “Storia di un libro che rassomiglia alla storia di Cenerentola”.

Dal severo giudizio del prof. Trevisan che sentenziò “questo è un libro che avrà poco esito all’aneddoto dei forlimpopolesi, che avendo vinto 2 copie del libro in palio in una lotteria di beneficenza, le rivendettero ad un tabaccaio, non sapendo che farsene.

Poi, arrivò il successo. A. potè curare solo le prime 14 edizioni, dal 1981 al 1910.

Dalle iniziali 475 ricette si arrivò a 790 nella 13^ edizione del 1909. Ad oggi l’opera conta 111 edizioni con oltre 1 milione di copie vendute. L’edizione attualmente disponibile è identica a quella del 1911. E’ stato tradotto in più lingue.

Nel manuale è contemplata ogni genere di pietanza, dalle minestre alle salse, dai fritti a scbbiroppi e conserve, a un paragrafo dedicato a “cose diverse”(olive caffè  mandorle tostate), in appendice c’è un paragrafo dedicato alla “Cucina per stomachi deboli”.

È stato scritto anche che l’Artusi è un libro superato, ha ricette complicate, troppo ricche di ingredienti, troppi grassi ecc..

 

FORLIMPOLPOLI

La casa che gli ha dato i natali, nel centro storico di Forlimpopoli, in un antico convento, è diventata dal 2007 un centro di cultura enogastronomia (Casa Artusi).

Sede di convegni, corsi di divulgazione ecc. su temi della gastronomia.

Ospita una biblioteca, un ristorante, la scuola di cucina.

Nell’ultima settimana di giugno di ogni anno per nove giorni si celebra la “Festa Artusiana”che coinvolge migliaia di persone amanti della buona tavola.

Sono previste serate di convegni, spettacoli, concerti all’aperto, itinerari gastronomici.

Nel corso di questa festa vengono assegnati ogni anno il “Premio P.Artusi”ad un personaggio che si sia distinto nel campo della cultura gastronomica e il “Premio Marietta” assegnato a donna o uomo artefice di ghiottonerie domestiche.

 

Questa ricetta del libro dell’Artusi, la n° 399 per l’esattezza, è una sorta di parmigiana di melanzane. Il termine petonciano è riconducibile al nome utilizzato dagli arabi (badingian) che introdussero l’ ortaggio all’inizio del IV sec. In Italia venne inizialmente chiamata petonciana o petonciano Il nome poi fu modificato in melangiana e poi in melanzana. Il nome melanzana veniva popolarmente interpretato come “mela non sana “proprio perché non commestibile a crudo.

 

TORTINO DI PETONCIANI

 

Per 4 persone

 

2 melanzane

Farina

Olio d’arachidi

Sale

Parmigiano grattugiato

Salsa di pomodoro fatta con un po’ di cipolla e basilico

1 uovo

Pangrattato

 

Infarinare le melanzane tagliate a fette di ½ cm. e friggerle in olio di arachidi. Scolarle su carta assorbente.

In una teglia fare uno strato di melanzane, salsa, parmigiano, e fare tre, quattro strati.

Sbattere l’uovo, sale, un po’ di salsa, un cucchiaio di parmigiano, due di pangrattato e con questo composto coprire la superficie.

Infornare e far gratinare.

Servire caldo.

 

 

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