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La Pratica. Di Angelo Andrei

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Un giorno al Ministero, Fabio, Marta ed io ci mettemmo a cercare la Pratica. Era un vero casus belli: un protocollo vecchio di anni che per qualche strano motivo si era materializzato dal nulla e lui, il Vice Pref. Dr. Prof. Cav. Uff.le , il nostro capo insomma, chissà per quale altrettanto strano motivo voleva e subito.

Ci aveva fatto la richiesta con molto ed insolito garbo, devo dire, alle sette di sera. “Certo ricordate”, aveva esordito, “la pratica riguardante…” e giù tutta una serie di dati che denotavano in lui una memoria prodigiosa sennò quando ci diventava dirigente. Noi lo stavamo a sentire incantati suggendo il sapere amministrativo-burocratico dalle sue labbra. Terminò dieci minuti dopo con un perentorio: “portatemi la pratica”. Si erano fatte le sette e un quarto. Ci guardammo vicendevolmente smarriti. Lui intuì, senno che dirigente sarebbe, e ci disse, con decisione: “anche domattina”, aggiungendo un “presto” pericoloso. E la mattina dopo stavamo tutti e tre a cercare la Pratica. Aprimmo montagne di faldoni mentre gli uomini di casa, noi per intenderci, ci arrampicavamo su scale barcollanti in dotazione, da sempre, del gigantesco archivio. Anni ed anni di lavoro scorrevano davanti ai nostri occhi. Sigle, carte, protocolli dimenticati, vetusti, obnubilati dal tempo e da tutti ma non per lui, il nostro dirigente che ricordava tutto meglio di un Pentium. Noi, invece, un computer serio non lo avevamo mai avuto. Si c’era sui nostri  tavoli qualcosa che lo ricordava ma in realtà erano oggetti dalle prestazioni inaffidabili e dai programmi superati ancor prima di nascere. La ricerca continuava senza sosta. Anni e anni di lavoro continuavano a scorrere sotto i nostri occhi ma quella maledetta Pratica non si trovava. Incrociammo i protocolli , riandammo a vecchie carte, chiamammo Guidi, ex archivista in pensione soprannominato “il furetto dell’archivio” svegliandolo di soprassalto alle 7,30 di mattina. Ma senza risultato. Tralasciammo anche la sacra colazione al bar centrale, ma lei, la maligna Pratica non si trovava. La porta del dirigente era rigorosamente chiusa. Ma si aprì alle dieci. “Allora ?”, fu l’unica parola che ci rivolse. “La stiamo cercando” fu la nostra risposta umile ma decisa seguita dal consueto corollario di scuse. Le parole del supremo furono perentorie: “bisogna far piazza pulita di certi impiegati…ai miei tempi c’erano ben altri archivisti…!!” Terminato il rosario si richiuse di nuovo nella sua stanza. Lei, Marta, tutto sommato piacente   trentacinquenne, guardò verso l’alto con gli occhi che le brillavano di gioia cupida. “E’ la”, disse con un tono che non ammetteva repliche. E si avventò sulla scaletta sempre più pericolante incurante della gonna che indossava e della visione che lasciava a noi poveri mortali per altro, devo dire non del tutto da scartare anche per la presenza di un insospettato tanga…Mi fermo qua. La citata Marta piombò come un falco pellegrino sull’ultimo faldone in alto a destra. Montagne di insetti di tutte le specie abbandonarono le tane e si avventarono sulla malcapitata. Ridiscese le scale brandendo un mucchio di carte ingiallite massacrata da mille punture. Sembrava una Indiana Jones al femminile di ritorno dal tempio maledetto. Aprì il faldone facendo uscire tarli, blatte, forcinelle e vermi della carta. Sfogliò il tutto aspirando polvere e gloria e lei, la Pratica, l’agognato smeraldo apparve in tutta la sua sontuosa bellezza, si fa per dire. La pulimmo alla bene e meglio dalla polvere, ne facemmo subito otto copie, non si sa mai, e la portammo tutti tremanti di gioia al cospetto del dirigente. Entrammo nel’ordine: Marta con la pratica in mano, poi Fabio ed io. Lui alzò lo sguardo dal computer megagalattico che come dirigente aveva e ci guardò. “Beh, disse ?  “Dottore…la pratica.” “La pratica, quale pratica…? “Quella che ha chiesto ieri sera…” “Ah”, fece con tono burbero guardando l’orologio che disgraziatamente segnava le undici…”ieri sera…”. La prese, tossì per via dei residui di polvere ancora presenti sulla carta e scansò, non senza eleganza, un piccolo ragno che onestamente tesseva la sua tela. La guardò distrattamente e senza leggerla nemmeno disse: “Come immaginavo”. E ce la restituì. Rimanemmo immobili. Si, voi che non siete ministeriali non potete capire cosa significa passare giorni e giorni a cercare pratiche scomparse rischiando la vita e poi, quando finalmente riuscite a trovarla ve la vedete restituire senza nemmeno uno sguardo benevolo di riconoscimento per l’immane fatica sopportata. Uscimmo in silenzio. Buttammo la pratica sul tavolo. Tornammo dal dirigente e, all’unisono, annunciammo: “noi andiamo a prendere il caffè”. Il tono non ammetteva repliche. Lui, il supremo, accennò qualcosa ma noi stavamo già dirigendoci verso il bar. “Andiamo al centrale” chiese Fabio ? “No, replicai con decisione: la Ragioneria, è più lontano e ci facciamo pure due passi.” Fuori il sole splendeva e, quel giorno mi accorsi che era già primavera.

 

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